Siamo pieni di vuoto

IV domenica di Quaresima
Dio è come un navigatore satellitare: ti indica le direzioni giuste, ma ti lascia libero di non sceglierle e di andare dove vuoi. Può succedere di far scivolare via la parabola del figliol prodigo: la conosciamo troppo e ci sembra soltanto un racconto per bambini. Invece è una delle pagine più dure del Vangelo. Vietata ai minori.

Erroneamente è chiamata del figliol prodigo, infatti i figli sono due. Sembrano diversi, ma hanno entrambi una pessima idea del padre. Per il primo il padre è un blocco pesante: “mi manca il fiato, soffoco”. Per il secondo il padre ha solo pretese: “mai una soddisfazione”. C'è poi il seguito che è tristissimo: quando la vita presenta il conto, il figlio lontano fa bene i suoi conti. Si pente. Ne siamo sicuri? Potrebbe essere stata la fame a farlo tornare, non il pentimento. È il calcolo della convenienza che lo riporta a casa, non il cuore.

Infatti è disposto a tornare a casa come servo e non come figlio. Così il figlio maggiore è "separato in casa" e non apprezza il Padre. Si offende della festa: “è un’ingiustizia!”. È lui il figlio più lontano. È terribile chi abita la tua stessa casa, ma lo senti straniero. Anche il secondo figlio da egoista fa poi i conti in tasca al padre.
Questa parabola non ha un moralistico lieto fine. Non ha proprio fine! Non si dice se il figlio scappato cambia, né se l'altro entra alla festa. L'unico punto fermo che c'è è la casa. La nostra vita si gioca su una strada che va dal mercato alla casa di una vecchia zia: dal mercato dove niente è a posto, tra mille odori, alla casa di una vecchia zia dove tutto è in ordine ma nella naftalina. In mezzo c’è “la casa del padre”, la casa dove ti tocca vivere. È tanto facile per tutti prendere la direzione del mercato, verso il disordine e il caos. Ne siamo felicemente attratti. Però proprio perché siamo "uomini da mercato" come il primo figlio rischiamo di proiettare la fede e il mondo dei valori nell’altro estremo, come se fosse la casa ammuffita di una vecchia zia. Così rischiamo di star fuori, come l’altro figlio. Non ci va bene niente. Dio ci indica oggi che lo spazio della maturità della vita e dell’amore sta a metà tra il mercato e la casa della vecchia zia.
Siamo chiamati a confrontarci con i due figli per diventare noi "padri". Siamo chiamati a diventare "padroni di casa" della nostra vita, dove quello che cerchi non è mai al suo posto e non lo trovi mai, dove sul tavolo della cucina c’è tutto l'inutile e manca l'essenziale, dove i vasetti della nutella si svuotano da soli, ma è casa tua. Non è profumata di cera, ma sente di amore. Quando rientri a casa dopo essere stato in giro un po’ di giorni, ti viene spontaneo respirare a pieni polmoni il profumo delle tue cose. Sorridi ritrovando te stesso nell'aria di casa tua. Questa sensazione è simbolo dell’esperienza della maturità della vita.
Un uomo è vecchio quando i rimpianti superano i sogni (A. Einstein). Proprio per questo il più giovane in questo racconto è il vecchio padre: i figli sono schiacciati dai rimpianti, il padre è motivato dai sogni. Un figlio spreca un capitale di eredità, per lui il padre è come morto, l'altro spreca il capitale della vita quotidiana, per lui niente è bello, ma è il Padre quello che spreca di più: un capitale di amore. È il padre il vero prodigo, cioè lo spendaccione, non il figlio, perché di eccessivo, in questa storia, c’è solo il suo amore, al di là degli errori o della vuota mediocrità (come sono i due figli). Uno stesso verbo usato per ambedue i figli: "gli va incontro", nel bene (quando torna), ma anche nel male (quando il primo pretende l'eredità e quando il secondo non vuole entrare deluso).
Questo padre può apparire come un debole che ha fallito con i figli. Ancora una volta partiamo da Dio per capire meglio la nostra umanità. Dobbiamo guardare quanto questi due figli assomigliano a noi, dobbiamo guardare a quanto (come loro) siamo pieni di vuoto, per imparare a diventare padri, cioè padroni di casa della nostra vita. Le relazioni diventano difficili perché le conversazioni diventano sms, e i sentimenti  diventano "messaggi di stato". È il vuoto che rimbomba. Togliere il vuoto è diventare adulti, ma c'è solo un modo per farlo: per togliere il vuoto bisogna trovare qualcosa che ci riempia. Questa è la maturità di un Dio che è un padre debole dal cuore forte, che come un tom tom ci dice la direzione, ma ci lascia liberi, sia di prendere strade sbagliate, sia di non camminare proprio.
Divino è scoprire che il traguardo è lo stesso punto di partenza: il traguardo è casa nostra, ma abitata da padri e non da figli viziati, con la responsabilità della debolezza dell'amore e non piena di vuoto.
Lamentele, pessimismo, il non gustare nulla è il vuoto che soffoca. Per diventare abitante e padrone di ciò da cui volevi scappare Dio oggi ci sussurra il segreto: semina cuori se vuoi raccogliere cuori.

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3 pensieri su “Siamo pieni di vuoto

  1. Il nostro parrocco ha fatto  questa  esatta omelia domenica scorsa, parola per parola, dicendola con una durezza che ci ha lasciati tutti certamente non con una visione del Padre celeste misericordioso che aspetta il ritorno di un figlio ma di un Dio che ha "sbagliato" con i figli. Speravo durante la Quaresima di incontrare questo Padre che aspetta una conversione da me anche se dettata dalla fame perchè forse a Lui basta la volontà di voler cambiare e tornar a casa.

    • Il parroco di Seriate, don Gino, non ha assolutamente fatto questa omelia, che è mia.
      Vorrei specificare che in questa riflessione il cuore è esattamente la misericordia di Dio, talmente grande che non solo supera una situazione negativa ma cambia il figlio. Il vangelo assomiglia molto all'umano sia nella nostra fragilità di figli, sia nella nostra debolezza da padri. Gesù, il Figlio del Padre, si fa uomo per renderci più uomini. Si fa figlio per renderci padri. Quello che "umanamente" può essere visto come un padre fallito, "divinamente" è grazia che cambia e fa maturare la vita. Non solo scusa, non solo guarisce, ma addirittura è un amore misericordioso che fa maturare i figli per farli diventare padri come lui. Questa è esattamente la rasserenante speranza dell'annuncio della misericordia di Dio che lei giustamente cerca dal suo parroco e che questa riflessione letta nel suo insieme voleva comunicare. Più che il tono della voce del prete, guardiamo al contenuto. Non fermiamoci al sacerdote, ma guardiamo al Signore. "Non valutate Dio dalla grandezza dei suoi ministri". Si legge infatti: È il padre il vero prodigo, cioè lo spendaccione, non il figlio, perché di eccessivo, in questa storia, c’è solo il suo amore. Questo padre può apparire come un debole che ha fallito con i figli. Ancora una volta partiamo da Dio per capire meglio la nostra umanità. Questa è la maturità di un Dio che è un padre debole dal cuore forte. Divino è scoprire che il traguardo è lo stesso punto di partenza: il traguardo è casa nostra, ma abitata da padri e non da figli viziati. Per diventare abitante e padrone di ciò da cui volevi scappare Dio oggi ci sussurra il segreto: semina cuori se vuoi raccogliere cuori.

      • Mi dispiace ma non intendevo dire che l'omelia sua lo ha fatto don Gino. Lo ha fatto il nostro parrocco che opera in una Chiesa  diversa in una regione completamente  diversa che probabilmente non ha saputo trasmettere con efficacia il suo pensiero.

         

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