Quella virtù antica come le montagne

Pubblichiamo la versione integrale dell’intervista
apparsa sulla Voce di Seriate di Gennaio 2025


«Perdere la pazienza significa perdere la battaglia», diceva Gandhi. Ma dietro queste parole si cela un mondo di saggezza, che va oltre Gandhi, fino a toccare le radici della spiritualità umana. Si pensi a Giobbe, figura biblica per eccellenza, emblema di chi soffre senza perdere la fede. Oggi, in un’epoca dominata dalla fretta e dall’impazienza, ci interroghiamo sul valore della pazienza. Quanto è difficile coltivarla? Quanto è essenziale per vivere con consapevolezza? Ne parliamo con Silvia Canini, praticante di meditazione cristiana, che ci guiderà in un viaggio nella virtù della pazienza, capace di trasformarsi in una vera scuola di speranza.

Silvia Canini è madre, medico e praticante di meditazione cristiana, attivamente coinvolta nella Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana (World Community for Christian Meditation – WCCM). Ha iniziato il suo percorso spirituale in un ritiro condotto da Padre Antonio Gentili e da allora ha dedicato la sua vita alla pratica e alla diffusione della meditazione cristiana. È anche oblata benedettina, impegnata nella creazione e nel sostegno di gruppi di meditazione, sia a livello locale, come a Bergamo e provincia, compreso Seriate, e sia in ambito più ampio.

Silvia, com’è iniziato il tuo percorso nella meditazione cristiana?

Quindici anni fa, partecipai a un ritiro spirituale a Eupilio, un piccolo paese tra Lecco e Como, sul lago di Pusiano. Era organizzato da Padre Antonio Gentili, una figura di spicco nel panorama italiano della meditazione cristiana, autore di molti libri e vero punto di riferimento. Fu durante quel ritiro che incontrai per la prima volta gli “esercizi di preghiera profonda”, come li definiva lui. Questo approccio mi colpì immediatamente.

Avevo già esperienza con altre forme di preghiera, come gli esercizi ignaziani o la Lectio Divina, ma mi accorsi che queste tendevano a essere più mentali. La “preghiera del cuore”, invece, introduceva una dimensione completamente diversa: non si trattava di capire con la mente, ma di fare esperienza diretta. Silenzio e Parola assumevano per me un altro valore. Padre Gentili sottolineava che questa pratica non può essere spiegata a parole: va vissuta.

Tuttavia, capii subito che l’esperienza non si esauriva nel momento del ritiro, ma richiedeva un’applicazione concreta nella vita quotidiana. Ed è qui che entra in gioco la pazienza perché viene come primo elemento, è proprio il sottofondo di questa preghiera e la si comprende nella pratica.

 Questa pratica si fonda su un esercizio costante, e inizialmente mi scontrai con molte difficoltà: trovare il tempo, mantenere l’impegno, e soprattutto fare i conti con la mia infedeltà a questa promessa. La pazienza, quindi, non era solo una virtù, ma una condizione indispensabile per far sì che la preghiera trovasse spazio nella mia vita.

Non è stato un processo lineare. Cominci, smetti, senti che ti manca qualcosa e ricominci. Dapprima dedichi pochi minuti al giorno, poi pian piano quel tempo si espande. Anche oggi, dopo anni, posso dire che continuo a imparare quanto sia importante essere paziente con me stessa. È un cammino che si costruisce poco a poco, e ogni volta che pensavo di non farcela, la pratica stessa mi ha insegnato a tornare, a ricominciare, senza giudicarmi. Scoprii che era proprio la preghiera ad insegnarmi l’importanza della preghiera stessa.

Quell’esperienza con Padre Gentili è stato il punto di partenza. Ho continuato a frequentarlo per alcuni anni, e nel frattempo ho scoperto altri maestri di meditazione. Fu così che entrai in contatto con la Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana, una realtà globale con un’ampia rete anche in Italia. È un mondo sommerso di cui si sente poco parlare, ma che esiste e offre una grande ricchezza.

In fondo, tutto parte da un incontro e da un desiderio: il desiderio di trovare un silenzio che non sia assenza, ma spazio per qualcosa di più grande.

Parlaci della parola che utilizzi nella meditazione cristiana. Come funziona?

La parola che uso, e che la comunità suggerisce, è Maranatha. È una parola sacra, di origine aramaica. Una delle sue caratteristiche principali è che non trasmette immediatamente un significato. Questo è importante, perché permette alla mente di non rappresentare immagini né generare pensieri, creando uno spazio di silenzio interiore.

La parola è suddivisa in quattro sillabe uguali: Ma-ra-na-tha, e ripeterla ritmicamente è come osservare un pendolo che oscilla dentro di te. Questo movimento aiuta la mente, che per sua natura è portata a vagare e produrre pensieri, a trovare un’ancora, un punto fisso su cui concentrarsi. È così che si comincia a creare il silenzio interiore.

Quanto è importante il corpo nella meditazione?

Spesso nelle nostre preghiere il corpo viene ignorato, ma nella meditazione gioca un ruolo fondamentale. È necessario cercare una postura stabile e mantenerla nel tempo. Non è facile e richiede molta pazienza. Per esempio, si consiglia di mantenere la schiena dritta il più possibile, in segno di vigilanza. Io medito seduta su un cuscino, in una posizione simile a quella dello yoga, ma si può stare anche su una sedia o inginocchiati con uno sgabellino. L’importante è che corpo, mente e spirito si allineino per questo lavoro interiore di presenza.

All’inizio il corpo protesta: si sentono formicolii, desideri di muoverti o piccoli dolori. È normale. Ci sono momenti in cui sembra di avere prurito o addirittura una mosca immaginaria sulla pelle. Qui entra in gioco la pratica: guardo come uno spettatore lo stimolo che c’è, lo accolgo, ma lo lascio andare. È come creare uno spazio dove non c’è reazione automatica. È un allenamento di pazienza, anche fisico.»

Come si integrano corpo e mente in questa pratica?

La ripetizione del mantra è una guida sia per il corpo sia per la mente. Non succede quasi mai che ci si sieda e si trovi subito silenzio e pace, soprattutto all’inizio. La mente è invasa da pensieri di ogni tipo: cosa devo fare dopo, cosa mi sono dimenticata, oppure preoccupazioni o ricordi. La pratica consiste nel riconoscere il pensiero, accoglierlo senza giudicarlo e lasciarlo andare, per tornare con gentilezza alla parola.

In questo processo, si impara a non esercitare volontà o forza. Non si tratta di dominare la mente, ma di lasciarsi guidare dalla parola. È un cammino lungo, un vero allenamento alla pazienza.

Qual è la filosofia di fondo della meditazione cristiana?

Nella preghiera discorsiva ci rivolgiamo a Dio attraverso un dialogo, ma spesso quel dialogo è condizionato dalle nostre rappresentazioni di Lui e delle nostre esperienze. Invece, con la meditazione ci facciamo vuoto e silenzio, per permettere a Dio di esprimersi veramente nel nostro cuore.

Questo vuoto richiede di abbandonare lego, lasciando andare le nostre preoccupazioni, i ricordi e le ansie. Creiamo spazio per lo Spirito. Crediamo che lo Spirito sia già presente nei nostri cuori: quando facciamo silenzio, possiamo ascoltarlo e lasciarlo agire nella nostra vita. La meditazione non serve a cercare stati di pace o felicità momentanea, ma a fare spazio allo Spirito perché possa trasformare il nostro essere.

Ci sono esempi storici di questa pratica?

Sì, la meditazione cristiana ha radici antiche. John Main, un monaco benedettino del XX secolo, ha riscoperto questa forma di preghiera leggendo gli scritti dei Padri del Deserto. Nel III e IV secolo, i monaci che si ritiravano nei deserti dell’Egitto e della Siria praticavano una preghiera che consisteva nel ripetere un versetto dei salmi continuamente. La chiamavano “preghiera pura” o “preghiera del cuore”.

Attraverso questa preghiera, si viveva lesperienza della povertà dello spirito, abbandonando qualsiasi idea di sé per affidarsi completamente a Dio. Questo è il senso dell’invito di Gesù a rinnegare se stessi: lasciamo andare i nostri pensieri, ci affidiamo alla parola e permettiamo allo Spirito di guidarci.

Come questa pratica ha cambiato il tuo modo di affrontare la vita quotidiana?

La meditazione porta frutti concreti, come i frutti dello Spirito Santo: gioia, pace, amore, benevolenza. È una trasformazione lenta che gli altri iniziano a notare prima ancora di te stessa. Non si medita per ottenere qualcosa, ma è inevitabile che questa pratica trasformi il nostro modo di vivere e di relazionarci con gli altri. Impariamo pian piano ad essere, a lasciare cadere le maschere che ci siamo costruiti negli anni. Accogliamo il dono della nostra vita e ci accostiamo alle persone liberi da pregiudizi o dal bisogno di attenzione o approvazione. Inoltre la meditazione, attraverso la sua semplicità, ci fa diventare semplici.

Chi erano le persone che hanno scritto la Bibbia e cosa possiamo imparare dal loro vissuto spirituale?

L’antico testamento ha autori sconosciuti, mentre del Nuovo conosciamo gli autori e i contesti che li hanno portati a scrivere in un certo modo. La Bibbia, come dici tu è un testo spirituale, dunque non lo dobbiamo approcciare come un testo scientifico o storico, ma scritto con l’intento di tramandare un’esperienza spirituale vissuta in prima persona dagli autori.

La meditazione aiuta a comprendere meglio questi scritti?

Assolutamente. Come diceva John Main: «l’esperienza spirituale non può essere scollegata dalla vita concreta. Immagina una ruota di un carro: i raggi rappresentano le diverse forme di preghiera, mentre il centro è il silenzio, lo Spirito. La ruota è fatta per avanzare, la periferia della ruota è il nostro procedere nella vita verso Dio ed è strettamente legata al vuoto del centro.

La meditazione ci porta direttamente al centro, senza sostituirsi alle altre preghiere, ma integrandole. Quando si medita, anche leggere il Vangelo assume una luce nuova: scopri che quelle parole parlano direttamente alla tua esperienza. Si ritorna anche alle scritture, ai sacramenti rinnovati».

Chi ha scritto la Bibbia deve aver fatto un percorso simile: un cammino interiore che li ha portati a sperimentare profondamente ciò che hanno poi trascritto. È probabile che abbiano attraversato momenti di contemplazione e silenzio, lasciando emergere una comprensione del divino che ha dato forma ai loro scritti. Grazie alla meditazione, quelle stesse scritture si rinnovano: riconosci te stesso nelle loro parole

La meditazione cristiana dialoga con altre tradizioni spirituali?

Sì, è una delle sue caratteristiche più belle. La nostra comunità è in dialogo con il buddismo e altre forme di misticismo. La meditazione è un linguaggio universale: non è il cristiano che incontra Dio, è luomo. Questo principio fondamentale evidenzia come tutte le tradizioni spirituali, seppur declinate in modi diversi, mirino a un’esperienza comune: quella del contatto diretto con il divino. La meditazione, quindi, non divide ma unisce, fungendo da ponte tra culture e religioni, e ricordandoci che l’essenza della spiritualità trascende ogni confine. Per questo nella nostra comunità utilizziamo anche testi di altre tradizioni spirituali, pur rimanendo saldamente radicati nella fede cristiana. Abbiamo, ad esempio, nella sede di Bonnevaux in Francia un breviario semplificato che lascia più spazio al silenzio e include anche contributi di altre tradizioni.

Sei una terapeuta?

No, sono medico e mi occupo di vaccinazioni. Ma la mia vita spirituale è profondamente intrecciata con la meditazione. Sono un’oblata benedettina: significa che ho scelto di seguire la regola di San Benedetto, incarnandola nella mia vita quotidiana. La nostra comunità è un monastero senza mura, fatto di persone che meditano in tutto il mondo. Questo crea una rete spirituale che ci sostiene e ci unisce.

Mi stai dicendo che questa esperienza del monastero senza mura sta portando avanti un’idea?

Esattamente. In Italia non c’è solo la nostra comunità che promuove questa spiritualità, ma anche altre realtà molto interessanti. Hai mai sentito parlare dei “Ricostruttori nella Preghiera”? È una delle esperienze che fanno parte della cosiddetta “Rete del Silenzio”, un insieme di gruppi e pratiche che, a livello italiano, stanno riscoprendo forme di preghiera contemplativa.

Ne fanno parte altre iniziative, come la “Pustinia” di Antonella Lumini, ispirata al concetto russo di ‘deserto’, o le proposte di Padre Antonio Gentili. Abbiamo anche la “Scuola diffusa del silenzio” di Paolo Scquizzato e l’esperienza degli Amici del Deserto di Pablo d’Ors. Questi maestri portano avanti l’idea di radicare la spiritualità nel concreto della vita quotidiana e nella formazione di piccole comunità.

Anche noi, a Bergamo, ci incontriamo ogni settimana per praticare insieme. E a gennaio, ad esempio, parteciperemo a un ritiro spirituale. Questi momenti creano piccoli gruppi di sostegno e condivisione, che rendono il cammino meditativo più ricco e profondo.»

La meditazione aiuta le persone ansiose?

Sì, ci sono molti studi che dimostrano come la meditazione riduca lo stress e migliori parametri vitali come la pressione cardiaca. E modi, come la mindfulness. Tuttavia, la meditazione cristiana non è semplicemente una tecnica di rilassamento. È un cammino di fede. L’obiettivo non è eliminare l’ansia, ma attraversarla. Anche i Padri del Deserto dicevano che la natura non è contro lo Spirito: guarendo la nostra natura, ci avviciniamo a Dio. Se una persona è ansiosa, non deve nascondere la sua ansia, ma usarla come punto di partenza per la preghiera. L’unica vera preghiera è però quella di Gesù, che prega il Padre attraverso lo Spirito. E noi, connettendoci a quello Spirito che vive dentro di noi, ci uniamo a quella preghiera, a quel flusso di amore che ci trasforma e ci conduce al cuore di Dio.

Puoi condividere una metafora che rappresenta la meditazione?

Un simbolo che usiamo spesso è il labirinto di Chartres, un disegno sul pavimento di una cattedrale in Francia, a Chartres, appunto. Rappresenta il cammino spirituale: sembra di avvicinarsi al centro, poi ci si allontana, ma alla fine, percorrendo tutto il percorso, si arriva al cuore.

È una bellissima metafora della meditazione. Penso che pazienza e fedeltà vadano di pari passo. Mi siedo e magari sono agitata, penso che non stia funzionando. Ma l’importante è rimanere fedeli: mi siedo mezz’ora e resto, indipendentemente da come mi sento. Quella mezz’ora non è mia, è dedicata a Dio. E anche se non mi gratifica, è parte del cammino. È il tempo che dedico a lasciarmi trasformare.

Parlavamo del deserto. Ti è mai capitato di imbatterti nel fenomeno degli “scrupoli“, tipico di chi prega molto, una sorta di ossessione o di egoismo inconscio?

Sì, è un tema interessante. Non mi è capitato spesso, ma posso dirti che c’è un’idea di fondo che tocca tutti noi. Esiste un “io”, che è il nostro ego, legato alla nostra storia personale, e poi c’è un “vero Sé”, più profondo, che è il regno di Dio dentro di noi, la nostra essenza come creature. Quando ci approcciamo alla preghiera per sentirci “bravi” o “buoni”, stiamo nutrendo il nostro ego. Ci gratifica il pensiero di essere delle belle persone, ma questo riguarda ancora una parte egoica, la nostra ossessione per noi stessi.

Quindi la meditazione aiuta a superare questa ossessione?

È proprio questo il punto. La meditazione è un cammino spirituale che ci aiuta ad andare oltre noi stessi. Non si tratta di eliminare i giudizi o le debolezze, ma di lasciarli alle spalle. Durante la meditazione, non sono più concentrata sulle mie incapacità o sui miei errori. Mi siedo, accetto ciò che c’è, ma guardo oltre, verso qualcosa di più grande. È come creare uno spazio intorno a quelle ossessioni che ci tengono bloccati, e lentamente impariamo a lasciarle andare.

Si tratta di spostare lo sguardo verso qualcosa di più alto?

Esattamente. È uno spostamento di prospettiva. Non si resta incastrati nei propri limiti, ma si guarda al “grande”, a ciò che sta oltre. La meditazione ti insegna a non giudicarti, a non restare intrappolato nei pensieri, ma a trovare un punto fermo in profondità, in quel grande spazio che è lo Spirito.

La meditazione è definita come un viaggio dalla mente al cuore. Come spiegheresti questa transizione a chi si avvicina per la prima volta a questa pratica?

È una definizione bellissima e vera. La preghiera è spesso descritta come l’elevazione della mente e del cuore a Dio. Però, se osserviamo il modo in cui pregano molti cristiani, notiamo che è prevalentemente un’elevazione della mente. Al massimo, c’è chi prova un trasporto emotivo, che potremmo chiamare sentimentalismo o certe .forme di devozione che però non operano trasformazione del cuore della persona che prega.

Nella meditazione, invece, il cuore non è inteso come il luogo del sentimento, ma come la sede dellamore. E l’amore autentico si manifesta attraverso l’attenzione. Quando amiamo qualcuno, gli dedichiamo attenzione. Allo stesso modo, quando ci sentiamo amati, desideriamo l’attenzione dell’altro. Quindi, nella meditazione, lasciamo andare pensieri, parole e proiezioni per raggiungere questa sede dell’attenzione, il cuore vero. Come dice Simon Weil: «l’essenza della preghiera è l’attenzione».

Qual è il ruolo dellattenzione in questo processo?

È fondamentale. L’attenzione nella meditazione è diversa da quella che usiamo normalmente. Non è rivolta a un’immagine di Dio che ci siamo costruiti, perché qualsiasi immagine sarebbe un idolo. Se abbiamo già deciso chi è Dio e come deve manifestarsi, non gli lasciamo spazio. Invece, nella meditazione, l’attenzione rimane aperta: è un atto di presenza totale, senza pensieri o giudizi.

Il mantra aiuta proprio in questo. Ripetendo una parola sacra e dimorando nel qui e ora, restiamo radicati nel corpo, nel respiro e nel cuore. Questo stato di presenza ci permette di vivere un’esperienza d’amore autentica, che va oltre il pensiero. Non è una rappresentazione di Dio, ma un incontro con la sua pace e il suo amore, qualcosa che non si può esprimere a parole.

Quindi il silenzio è la chiave per questa esperienza?

Esattamente. Nel silenzio vero c’è spazio per incontrare Dio senza filtri. Quando diciamo “Dio Padre”, per esempio, lo facciamo partendo dalle nostre esperienze personali, magari collegandolo a un’idea di bene ricevuto. Ma Dio non si può limitare a una nostra interpretazione. Nel silenzio, lasciamo che sia Lui a parlare. E questo ci porta in una dimensione che non possiamo controllare o descrivere, ma che è reale e trasformativa.

Questa preghiera può essere vissuta diversamente da chi crede e da chi non crede?

Sì, perché per vivere questa preghiera non bisogna credere a nulla di specifico. Anzi, meno credi, meno ti crei illusioni su Dio, meglio è. Questo perché, nella meditazione, si incontra l’Altro dandogli spazio di manifestarsi. Se hai già deciso chi è Dio, non c’è più spazio per l’incontro. Tant’è che si dice: non cercare esperienze nella meditazione; qualsiasi buona esperienza, lasciala andare.»

E cosa dire a chi prega per paura dellApocalisse?

Non penso che Dio sia un essere che abbia bisogno delle nostre preghiere. Spesso prendiamo dei passaggi della Bibbia, li estrapoliamo e li interpretiamo in modi che alimentano paure o ansie. Ma come si può pensare che Dio abbia davvero bisogno delle nostre preghiere? Questo sembra più una costruzione umana per esercitare controllo che una verità spirituale. L’esperienza della preghiera è piuttosto l’incontro con un amore trasformativo.

Come la preghiera del cuore può coltivare la pazienza nella vita quotidiana?

La pazienza è un frutto della meditazione, qualcosa che si impara camminando. Di solito, sono gli altri a notarla prima di te stesso. Chi ti sta vicino coglie i cambiamenti: più pazienza, più affetto, più tenerezza. La meditazione è un cammino di liberazione dall’ansia che ciascuno ha rispetto alla propria sopravvivenza in quanto Io. Ogni volta che ci sediamo a meditare moriamo all’Ego e risorgiamo ad una nuova vita in Cristo. Dunque, la meditazione ci prepara anche alla morte per affrontarla senza paure, perché attraverso queste piccole morti sperimentiamo il nostro vero Sé.

E nella pratica personale?

La chiave è la fedeltà. Non ci si siede a meditare per ottenere risultati immediati o vivere esperienze particolari. L’insegnamento è lasciare andare e ricominciare ogni volta. Come diceva John Main, “La meditazione è come un sentiero nella giungla. Ogni volta che ci perdiamo nei nostri pensieri, non dobbiamo ripercorrere tutto il cammino: basta ripetere il mantra.” Il sentiero è sempre lì.

E questa pratica nella meditazione ti insegna a fare lo stesso nella vita. Non rimugini più sugli errori o sulle cose fatte bene. Lascio andare, mi perdono e ricomincio. La pazienza verso se stessi diventa parte del cammino: non ti giudichi per i fallimenti, ma impari a ridedicarti al momento presente con serenità.

Ma quando un pazzo furioso incontra una persona molto paziente, cosa succede?

È una domanda interessante. Mi viene da pensare a situazioni estreme, come quelle affrontate da Etty Hillesum nel suo diario. Era un’ebrea che, durante la Seconda Guerra Mondiale, decise volontariamente di farsi internare in un campo di concentramento. Il suo atteggiamento era straordinario: diceva che rispondere all’odio con l’odio non avrebbe mai messo fine all’odio. È un insegnamento profondo. Lei coltivava spazi interiori di pace, anche in quella situazione assurda. Attraverso una forma di meditazione personale, aveva sviluppato una capacità di non lasciarsi travolgere dall’odio, trasformandolo invece in una forza positiva. È una fonte di ispirazione incredibile.

La pazienza è spesso considerata una virtù cristiana. Come la meditazione contribuisce a rafforzarla in un mondo così frenetico?

La meditazione è una scuola di pazienza. Non c’è un altro modo per impararla se non facendone esperienza. È una pratica che ti trasforma, gradualmente. È proprio camminando lungo questo sentiero che si sviluppa la pazienza. Ti accorgi che cambia il tuo modo di essere, ma spesso sono gli altri a notarlo prima di te: colgono che sei più paziente, più affettuoso, più presente.

Si può insegnare la meditazione ai bambini?

Sì, i bambini sono naturalmente predisposti alla meditazione, forse più degli adulti. Sono più semplici, più aperti. La meditazione li riporta a uno stato d’essere che noi adulti, con le nostre menti complicate, spesso dimentichiamo.

Ricordo un’esperienza con i ragazzi di Don Leonardo. Durante un ritiro, abbiamo fatto una meditazione di 20 minuti. All’inizio e alla fine si suona una campana, un momento che segna l’ingresso e l’uscita dal silenzio. Alla fine, i ragazzi non volevano più alzarsi. È stato commovente vedere come abbiano abbracciato il silenzio. Probabilmente non sono più abituati a sperimentare spazi vuoti, visto che oggi colmiamo ogni momento con musica, parole, immagini. Il silenzio è raro, ma è anche una risorsa preziosa per scoprire chi siamo.

Nella tradizione cristiana si parla spesso di ascolto di Dio. In che modo il silenzio della meditazione facilita questo ascolto?

L’ascolto di Dio avviene nel silenzio del cuore. Le Scritture sono Parola di Dio, ma il cuore della Parola è Gesù. Per incontrarlo in modo autentico, non basta parlare o pensare di Lui; dobbiamo fare spazio dentro di noi. Crediamo che lo Spirito di Dio dimori nel nostro cuore, ma come possiamo incontrarlo se non gli dedichiamo tempo e spazio?

La meditazione è il momento in cui lasciamo da parte il rumore, le distrazioni, e ci predisponiamo a vivere questa relazione. È lì, nel silenzio, che incontriamo Gesù in modo esperienziale. Non è un concetto, ma un incontro reale che avviene attraverso la preghiera e la meditazione.»

E come si inserisce questo nella pastorale?

Il teologo Karl Rahner diceva: “Il cristiano del futuro sarà un mistico o non sarà.” Questo significa che la fede non può più essere solo una serie di regole o morali insegnate dall’esterno. La fede è un’esperienza vissuta, un incontro che guida la vita.

Per me, è come imparare una lingua straniera: non puoi parlare tedesco se non lo studi. Allo stesso modo, non puoi vivere una vita spirituale se non coltivi l’interiorità. La meditazione ti porta a scoprire lo Spirito che già dimora in te. Il silenzio non è qualcosa che dobbiamo creare: esiste già, ma dobbiamo imparare a riconoscerlo e ad abitarlo.

Non possiamo essere credenti autentici senza dedicare tempo alla preghiera. La fede non è qualcosa che “cade dall’alto”; è qualcosa che si coltiva attraverso l’esperienza, è lavoro e grazia. Quando ci fermiamo, preghiamo e meditiamo, scopriamo la presenza dello Spirito e questa scoperta cambia il nostro modo di vivere.

Quali paralleli vedi tra la meditazione cristiana e altre pratiche contemplative di tradizioni religiose diverse?

Ci sono tantissime connessioni. Alla fine, tutti gli uomini cercano la verità, indipendentemente dalle etichette religiose. Mi piace usare l’immagine della luce che attraversa una vetrata. Ogni pezzo di vetro rappresenta una tradizione spirituale o religiosa, e ci permette di vedere un frammento della luce. Ma la luce, quella vera, è oltre la vetrata.

Le diverse tradizioni spirituali portano quindi a esperienze che, pur essendo declinate in modi differenti, hanno una radice comune: l’incontro con Dio, con l’Assoluto. Questa esperienza trascende le singole religioni e accomuna tutta l’umanità.

Come si struttura un incontro di meditazione cristiana e quale ruolo hanno i momenti di condivisione?

Nel nostro gruppo ci troviamo in chiesa, ma a volte anche in una stanza qualsiasi. Iniziamo con una lettura introduttiva, che aiuta a raccoglierci e a richiamare il senso di ciò che stiamo per fare. Poi recitiamo una preghiera comune:

“Padre del cielo, apri i nostri cuori alla presenza silenziosa dello Spirito di tuo Figlio. Guidaci allinterno di quel misterioso silenzio dove il tuo amore si rivela a tutti coloro che ti invocano. Maranatha, vieni, Signore Gesù.”

Questa preghiera riassume il significato profondo della meditazione. Dopo, suoniamo una campana per iniziare la mezz’ora di silenzio. Durante questa mezz’ora, ognuno recita interiormente il proprio mantra, restando immobile nel corpo. Alla fine, il suono della campana chiude il tempo della meditazione.

Segue una seconda lettura, che può provenire dalla tradizione cristiana o da altre spiritualità, e che apre riflessioni su temi universali. Infine, abbiamo uno spazio di condivisione. Qui, però, non si tratta di un confronto o di dare consigli. È uno spazio di ascolto non giudicante: ognuno può condividere ciò che sente, senza aspettarsi risposte o interpretazioni dagli altri. È un momento di accoglienza reciproca, basato sulla gentilezza. Devo dire che è una delle parti più difficili, perché la tendenza a intervenire o giudicare è molto forte. Ma è anche una parte fondamentale per crescere come comunità.

Puoi raccontarci un esempio concreto di come questa pratica abbia creato comunità o trasformazione sociale?

A Bergamo abbiamo creato un gruppo che mi riempie di gioia. L’anno scorso, alla Scuola delle Sei Settimane, si sono iscritte 70 persone, un numero inaspettato. Ora il gruppo stabile è composto da una quindicina di persone, e si sono formate relazioni bellissime. John Main diceva che “la meditazione crea comunità”, e lo sperimentiamo ogni giorno.

La meditazione non è solo un cammino personale, è legata alla comunità. La condivisione e il sostegno reciproco sono essenziali. E meditare insieme ha una potenza unica: ci sono momenti fortissimi, dove la presenza degli altri amplifica l’esperienza. È qualcosa che trasforma sia individualmente che collettivamente.

Quali benefici pratici può sperimentare chi si impegna regolarmente nella meditazione cristiana?

Non meditiamo per ottenere benefici. La mentalità moderna ci spinge sempre a fare qualcosa per un ritorno, ma la meditazione è un atto gratuito. È uno spazio dove sperimentiamo la gratuità. Non cerchiamo un risultato, ma viviamo il momento. Entriamo nell’eterno presente di Dio, e questo, di per sé, è già una trasformazione.

Puoi raccontarci lorigine della comunità mondiale per la meditazione cristiana e come si inserisce nella tradizione contemplativa cristiana?

La comunità nasce grazie a John Main, che dopo aver conosciuto la meditazione orientale, ha riscoperto nei Padri del Deserto gli stessi tratti di questa pratica: una preghiera pura, essenziale. L’ha definita come la preghiera dell’uomo moderno, una necessità per la Chiesa di rinnovarsi.

Dopo molte difficoltà, ha fondato un centro di meditazione in Canada. Alla sua morte, nel 1982, Laurence Freeman ha continuato il suo lavoro, diffondendo la comunità in tutto il mondo. Ora la Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana conta gruppi in ogni continente.

John Main non era solo. In quel periodo, altre figure come Thomas Merton, Bede Griffiths, Tomas Ketings, Henry Le Saux e Raimon Panikkar stavano riscoprendo la ricchezza della contemplazione. C’è anche il filone dell’esicasmo, pratica diffusa nella Chiesa orientale, che ha le sue radici nella esperienza dei Padri del Deserto. Tutto questo ci mostra che la meditazione non è qualcosa di nuovo, ma una pratica radicata nella tradizione mistica cristiana.

Invece a Bergamo, quali sono stati gli sviluppi più significativi nella diffusione della meditazione cristiana? Ha una storia?

La storia è abbastanza recente. Per due anni ho cercato un luogo per aprire un gruppo a Bergamo. Intanto, tenevo un gruppo online il giovedì sera, perché molti non hanno una comunità vicino. Però desideravo qualcosa di fisico, nella mia città. All’inizio, ho ricevuto molti “no”. Sembrava che nessuno riconoscesse questa esperienza, e mi sentivo come rimbalzata da una parte all’altra.

Poi è successo qualcosa. Attraverso l’Ufficio dei Tempi dello Spirito della diocesi, grazie a Don Carlo Nava, si è aperta una strada. Don Carlo conosceva una monaca di clausura del monastero Matris Domini, Suor Dolores, che praticava la meditazione insieme a don Fabio. Lei aveva seminato l’idea e Don Carlo ha riconosciuto il valore di questa pratica. Da lì, tutto è partito.

Per un po’ abbiamo meditato proprio al Matris Domini, poi ci siamo spostati. Con il sostegno del vescovo Francesco Beschi, che aveva già seguito la meditazione cristiana a Brescia, abbiamo trovato spazio e avviato attività con la curia. Abbiamo iniziato a Ranica, in un centro di spiritualità, con la “Scuola delle Sei Settimane”. Lì si introduceva alla meditazione e si accompagnavano le persone nelle prime esperienze. Oggi il nostro gruppo si trova ogni mercoledì sera presso i Preti del Sacro Cuore.

A gennaio replicheremo la Scuola delle sei Settimane presso le Missionarie Eucaristiche di Seriate. Ogni anno cerchiamo di spostare la sede per avvicinare persone di zone diverse. L’idea è far conoscere questa pratica e offrire un percorso di accompagnamento.»

Nella tua esperienza, quali sono le sfide più grandi che le persone incontrano nel coltivare la pazienza attraverso la meditazione?

La meditazione è un cammino verso il Regno di Dio, ma non si tratta di qualcosa che possiamo possedere. La pazienza nasce proprio dal lasciar andare: lasciare andare il desiderio di avere, di controllare, di afferrare. È un lavoro di costante rimodulazione, un esercizio di povertà interiore. È nella povertà che il Regno di Dio si manifesta.

La sfida più grande è togliere l’attenzione da ciò che vogliamo possedere per rifondarci sull’essere. Non è facile, perché siamo abituati a misurare tutto con il metro del fare e dell’avere. Ma è proprio quando lasciamo andare le nostre aspettative che possiamo scoprire la vera essenza.

E come si concilia questo con il concetto di “desiderio,” per esempio, quello di cui parla Lacan o Massimo Recalcati?

Il desiderio è fondamentale: senza desiderio, non si parte, non si cresce, non si vive. La meditazione non elimina il desiderio, ma lo trasforma. Non desideriamo più possedere o controllare, ma ci apriamo all’essere. Desiderare Dio, ad esempio, significa accoglierlo, non manipolarlo o trattenerlo. È un’esperienza di apertura, non di chiusura.

La pazienza, in questo senso, consiste proprio nel lasciare andare ogni attaccamento e ritornare all’essere. È un processo continuo, perché ci ritroviamo sempre attaccati a qualcosa. Ma ogni volta che ce ne accorgiamo, abbiamo la possibilità di ricominciare, senza giudicarci. È un percorso di perdono verso se stessi e di apertura costante.

Come possiamo integrare la pazienza sviluppata durante la meditazione nelle relazioni interpersonali e nei momenti di conflitto?

Nella meditazione non si lavora direttamente sulla pazienza. La pazienza è un frutto della pratica, qualcosa che emerge naturalmente. È come un seme: non siamo noi a farlo crescere, ma possiamo lavorare la terra, piantarlo, annaffiarlo e togliere le erbacce.

La meditazione è proprio questo: prendersi cura della terra. Il seme della pazienza cresce da solo. E così accade anche nelle relazioni. Non forziamo le cose, ma ci accorgiamo che il nostro atteggiamento cambia. Quando meditare diventa una pratica quotidiana, si traduce anche nel modo in cui interagiamo con gli altri: ascoltiamo di più, giudichiamo di meno e siamo più presenti.

Cosa diresti a chi non ha mai meditato e vuole iniziare oggi?

Il mio consiglio è di non iniziare da soli. Entrare in un gruppo o una comunità è fondamentale, perché, anche se la meditazione è semplice, non è facile. La nostra vita iperattiva non ci lascia spazio per il silenzio, e un gruppo può aiutare a costruire quell’abitudine.

Poi consiglio di avere pazienza. Non aspettarsi subito grandi risultati o cambiamenti. La meditazione è un cammino, non un traguardo da raggiungere. E se siete a Bergamo, ci siamo noi: venite a provare!

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