Distrazione… un rischio necessario

Emilio Majer è coordinatore del Consultorio Adolescenti e Giovani di Bergamo, un servizio accreditato a sostegno delle famiglie che eroga prestazioni in gratuità in via del Conventino 8 a Bergamo.

Il Consultorio Adolescenti fa parte di una rete di 6 consultori presenti nel territorio diocesano aventi come ente gestore la Fondazione Angelo Custode ed offre servizi di consulenza e sostegno alle famiglie e ai ragazzi nelle fasi della pre-adolescenza e adolescenza, l’età che va approssimativamente dagli 11 ai 24 anni richiamandosi all’impegno pastorale della Diocesi di Bergamo.

Annualmente, il Consultorio Adolescenti e Giovani prende in carico ed eroga prestazioni per circa 1200 persone: il 60% sono adolescenti, 40% giovani e genitori. In prevalenza sono le femmine e non i maschi che si rivolgono al consultorio: il 10-12% circa sono di origine straniera, di cui le nazionalità più rappresentate sono la Bolivia, il nord-Africa e l’est-Europa.

Emilio, stiamo cercando di cogliere l’effetto di realtà[1] nella relazione tra Marta e l’Ospite (vedi Vangelo di Luca 10,38-42) per declinarlo ai giorni nostri. in particolare, il suo essere distolta … ci richiama al tema della distrazione[2] nel mondo dei nativi digitali.

 A mio parere non bisogna stigmatizzare in modo unilaterale l’uso intenso che gli adolescenti fanno dei vari devices (smartphone, consol, PC,…). Rischi e negatività ve ne sono senz’altro, ma non è automatico che l’uso dei dispositivi o dei social, percepito spesso dagli adulti come eccessivo o improduttivo, sia effettivamente problematico o costituisca una mera distrazione da ciò che effettivamente conta nella vita di un ragazzo.

Bisogna invece pensare che questi dispositivi di comunicazione rispondono a dei bisogni evolutivi importanti negli adolescenti: esplorare il mondo esterno alla famiglia, sperimentarsi come individui autonomi, condividere esperienze e sistemi valoriali con i pari in funzione rassicurante … .

Quando possono diventare dei fattori di rischio?

Quando la sperimentazione a livello virtuale rischia di sostituire completamente l’esplorazione del mondo nella sua dimensione corporea, relazionale e affettiva. Il rischio c’è quando l’adolescente, di fronte alle fatiche e ai disagi correlati al senso di incertezza che si prova nell’esplorazione del mondo reale, opta sistematicamente per lo stare rinchiuso nel perimetro più rassicurante delle interazioni virtuali pensando così di tutelarsi rispetto a possibili ferite sul piano dell’autostima o del proprio io emotivo e affettivo. E’ ciò che in ambito psicosociale viene definito il “rischio di ritiro sociale”.

La scuola, ma più in generale il presidio educativo adulto, in cosa dovrebbe investire per prevenire il rischio di ritiro sociale degli adolescenti?

 Come prima cosa direi che l’adulto – sia a scuola, che in famiglia o in altri contesti a valenza educativa (oratorio, sport, ecc.) – dovrebbe aiutare i ragazzi a distinguere fra contesti e tempi dove è necessario preservare le condizioni per una partecipazione in presenza con le regole connesse e altri dove  può essere opportuna ed utile anche una partecipazione virtuale. Così come è importante che nel corso di una giornata vi sia una giusta ripartizione fra interazioni reali e virtuali.

È l’adulto che può e deve aiutare i ragazzi a gestire opportunamente i diversi tipi di interazione.

È chiaro ad esempio che lo squillo o le notifiche del cellulare costituiscono degli elementi di distrazione nel corso di una lezione a scuola o anche nella conversazione che può svolgersi durante il pranzo in famiglia. È compito dell’adulto, in primo luogo con il proprio esempio e poi col richiamo a un galateo di attenzione e rispetto reciproco, tutelare questi spazi di comunicazione, di ascolto rispettoso dell’altro e di proficuo apprendimento.

Analogamente è responsabilità dell’adulto istituire degli spazi di interazione in presenza che diano il giusto protagonismo ai ragazzi, valorizzino la condivisione delle loro esperienze, stimolino a una ricerca critica intorno alla complessità del reale.

Se questi momenti divengono àmbiti di mera e univoca trasmissione di informazioni e contenuti rischiano di demotivare i ragazzi che sono abituati ad acquisire contenuti e informazioni attraverso una pluralità di app molto più immediate e accattivanti e senza l’ansia del giudizio e della valutazione. Penso che anche da qui derivi la diffusa disaffezione dei ragazzi per la scuola o per gli altri ambiti a valenza educativa che a volte induce a rifugiarsi dietro lo schermo protettivo delle interazioni virtuali.

Infine è importante che l’adulto non si ponga in modo aprioristico in termini svalutanti o preoccupati nei confronti delle nuove modalità di comunicazione dei ragazzi, ma sia capace di vedere e apprezzare anche l’importante funzione che esse svolgono nel percorso di crescita stessa dei ragazzi: alcune app possono essere un interessante aiuto nel riappropriarsi della propria immagine corporea, altre facilitano l’incontro e le relazioni che dal virtuale poi possono transitare nel reale, altre consentono di far parte di comunità che condividono valori e responsabilità di forte rilevanza civica, … .

Da quel che dici sembra di capire che non vi debbano essere motivi di preoccupazione per l’uso che fanno i ragazzi dei nuovi dispositivi di comunicazione e di intrattenimento

 Non voglio dare un’immagine edulcorata del presente degli adolescenti di oggi.

Come avevo iniziato ad accennare, parlando del rischio di ritiro sociale, per ogni potenzialità di questi dispositivi ci sono altrettanti fattori di rischio connessi ad un loro uso distorto o non responsabile. Possiamo limitarci qui a ricordare le problematiche che ricorrono più di frequente nelle cronache dei giornali: le diverse forme di cyberbullismo, il revenge porn, il sexting, l’adescamento, l’imitazione di comportamenti pericolosi e l’induzione a un consumismo esasperato.

Il fatto di non assumere una visione aprioristicamente negativa nei confronti dell’interesse espresso dai ragazzi per quanto ruota intorno al mondo virtuale penso sia il presupposto più importante affinchè come adulti possiamo mantenere aperta una interlocuzione costante con i ragazzi su questo mondo. Penso che questo dialogo possa assumere una forte valenza educativa quando riesce a sviluppare in loro un senso critico nei confronti delle sollecitazioni che provengono da esso. Assume inoltre una importante valenza preventiva  quando attraverso questo canale di comunicazione possiamo recepire eventuali i segnali che ci avvertono che è stata superata la soglia di rischio accettabile e che è ora di mettere in campo più specifiche forme di aiuto: coinvolgimento dei genitori, ricorso a servizi come il Consultorio Adolescenti, ecc.

 Oltre alle problematiche che hai citato non vedi anche tu il rischio che queste tecnologie producano “un rumore di fondo” nella quotidianità dei ragazzi che li distrae da ogni possibilità di introspezione e di apertura alla dimensione spirituale, come a noi ha fatto pensare la suggestione evangelica dell’incontro di Marta con l’Ospite.

Certo il rischio di una distrazione sistematica dei ragazzi dalle domande fondamentali a cui ogni uomo prima o poi è chiamato a rispondere lo vedo anch’io. Ma credo sia importante non confondere le cause con gli effetti. Così come devices e social non solo la causa del “ritiro sociale” di molti ragazzi, ma solo la forma che assume la loro risposta di fronte a una realtà per loro frustrante e squalificante per tutta una serie di altre cause, così non sono i devices e i social a distrarre i ragazzi, ma essi sono solo uno degli strumenti che consentono la sistematica distrazione dalla ricerca di senso che logiche di mercato esasperate, convenienze politiche e una generalizzata deresponsabilizzazione educativa hanno indotto in tutti noi, suscitando bisogni effimeri che si accontentano di risposte immediate costituite dall’acquisto di beni di consumo o dalla delega a leader rappresentati come superuomini

Non credo che basti inibire o limitare l’uso dei devices ai nostri figli per suscitare in loro domande di senso o lo stimolo ad intraprendere percorsi di ricerca spirituale.

Credo invece che questo impulso derivi da una sistematica opera educativa che gli adulti sia individualmente, ma soprattutto attraverso un impegno comunitario e pastorale possono mettere in campo accompagnando le diverse fasi di crescita dei bambini e dei ragazzi nei diversi contesti di vita

Da questo punto di vista vedo interessanti potenzialità nei contesti educativi ecclesiali, quali l’oratorio, ma anche le diverse forme di associazionismo,  dove la domanda di senso e le prime forme di ricerca spirituale possono germogliare dalla convergenza di un impegno pedagogico e pastorale consapevole e mirato nei vari ambiti di attività: dalla catechesi alla formazione legata alla somministrazione dei sacramenti visti anche come momenti di iniziazione a nuove fasi della vita, dallo sport ai diversi momenti di aggregazione fino alle prime esperienze di volontariato.


[1] Effetto di Realtà

Espediente letterario che aiuta il lettore a percepire un semplice racconto come un’intensa visione cinematografica. (Vedi Gesù. La sorpresa di un ritratto, José Tolentino Mendonça)

[2] Distrazione

Il dizionario etimologico definisce il termine “distrarre” come “portare via, allontanare, deviare” o “allontanare l’attenzione, la concentrazione o la mente da un’attività o un pensiero specifico”.

Ma come si giunge all’accezione usuale di distratto (che è il contrario di «concentrato, raccolto, intento, assorto»)? Fondandosi su alcuni passi dell’Imitazione di Cristo (e particolarmente su 4, 7: «Tam cito distractus, tam raro plene sibi recollectus») il Lerch ingegnosamente riconduce questa accezione ai mistici medievali: distractus è, in origine, colui che gli svaghi esterni distolgono dalla concentrazione in sé stesso e in Dio: è insomma «distratto da Dio». (Vedi B. Migliorini che riferisce il saggio di Eugen Lerch, Zerstreutheit: zur Geschichte des Begriffes, in “Archiv für die gesamte Psychologie”)

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