Consiglio Pastorale del 26.01.2021

Verbale di
martedì 26 gennaio 2021

In modalità telematica

Alle ore 20.50, con la preghiera comune s’è dato il via al terzo incontro dell’Anno Pastorale in modalità telematica.

Assenti: Marco Boni, Davide Camozzi, Elisa Meloni, Augusto Paravisi, Marco Redolfi, Giacomo Rocchi, Giorgio Tribulet, Silvana Vavassori, Romina Zambelli, don Mirco, don Denis, rappresentante suore Sacra Famiglia


Viene approvato il verbale della seduta precedente.


Don Mario saluta e accoglie nel CPaP il neo diacono Carlo Cancelli, che presterà servizio presso la parrocchia per tutto l’anno pastorale, in attesa della destinazione che il vescovo Francesco gli assegnerà nel prossimo anno pastorale.

Don Mario introduce il tema della serata, presentando la ricerca sociologica di Franco Garelli con un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 31 dicembre 2020. E’ una nuova fotografia della fede in Italia dai 18 agli 80 anni.

Dopo la lettura dell’articolo di Garelli, fatta a due voci di don Fabiano e don Luca, don Mario aggiorna sulla situazione della partecipazione delle messe festive a Seriate.
Dalla rilevazione eseguita due anni e mezzo fa, risultava che circa il 25% dei seriatesi partecipasse alla messa festiva; dalla ripresa delle celebrazioni con i fedeli dopo la prima ondata pandemica, si registra un calo del 30%: alcune persone sono mancate, altre sono anziane e non escono di casa per paura, loro o dei familiari.
In chiesa di posti vuoti per accogliere questo 30% ci sarebbe, non è un problema di spazi.
I Battesimi restano stabili, intorno al 55% dei nati da genitori cattolici, in prevalenza italiani.

Ottavio Alfieri apre il confronto evidenziando come il bisogno di trascendenza caratterizza l’umano: il 70% della popolazione mondiale segue una religione. Il cattolicesimo è al secondo posto dopo l’Islam.
Nel 2018 s’è registrato un aumento del cristianesimo nel mondo, in modo particolare in Africa, Asia, e America latina, mentre è diminuito in Europa e America del Nord. Sembra che nelle città più evolute ci sia un allontanamento. Questo per i cambiamenti di contesto, culturali. E’ la legge dell’evoluzione: se non evolvi ti estingui. C’è bisogno di una revisione per attrarre le persone.
Ad esempio la Liturgia della Parola appare obsoleta, legata alla cultura della Palestina di 2000 anni fa, e rischia quindi di avere un significato ridotto per i cristiani d’oggi.
Anche l’uso di certi termini delle preghiere liturgiche, pure quelle appena rinnovate, appare arcaico: formule lontane dalla quotidianità.
Forse se Gesù ci fosse oggi, certe cose, ad esempio il modo di vedere le donne che ancora non hanno parità, le cambierebbe per renderle più console alla cultura attuale.

Bernard Perlman condivide il pensiero di Ottavio. E’ rimasto colpito dall’affermazione di Garelli “se i sacerdoti fanno cose nuove i giovani arrivano”: sarebbe un ambito da spingere, un tentativo da fare. Va bene avere i giovani in oratorio per giocare, ma sarebbe bello vederli anche in chiesa.

Roberto Valoti teme che mettere in discussione la Parola di Dio sia molto rischioso. Se le formule liturgiche possono essere aggiornate, la Parola di Dio no. Vanno bene le iniziative nuove, ma la Parola non passa.

Francesco Assolari si ritrova in questa affermazione di Garelli: “40 su 100 sono «cattolici culturali. Il gruppo cresciuto di più negli ultimi 20 anni. Anziché tagliare il cordone ombelicale, si mettono in stand by. Ma se individuano una figura significativa, si attivano”. I “cattolici culturali”, si riattivano se toccati, se trovano un prete carismatico o una iniziativa accattivante, come poteva essere la storica fiaccolata di Paderno.

Giovanni Stucchi è d’accordo sul rinnovamento del linguaggio, sul come si comunica la Parola, la Fede, la Speranza. Ora però siamo più evoluti su certi aspetti, ma non certamente più evoluti di San Paolo, filosoficamente, spiritualmente, religiosamente… dobbiamo recuperare l’antico rendendolo nuovo. Non dovremmo perdere l’occasione del Post-Covid. Appena c’è possibile dobbiamo abbattere tutte queste relazioni telematiche e spingere sulle relazioni reali, sull’incontro. Abbiamo un’occasione di rinascita che non dobbiamo perdere, ci sarà tanta voglia in tutti i settori, e dobbiamo cogliere questa opportunità.

Don Mario sintetizza gli interventi attorno a tre punti.
Un primo elemento, partendo dalla provocazione di Ottavio, è che va compreso come l’uomo d’oggi guarda la Chiesa e la veda ancora troppo arcaica: nelle formule, nella Parola, nel ruolo delle donne.
Il secondo elemento è il tema dei giovani. Il 60% dell’assemblea domenicale è ultra sessantenne. Su questa assenza giovanile forse rischiamo di colpevolizzarci troppo perché è la cultura che è cambiata, non è solo una carenza della chiesa. E’ un discorso più ampio, culturale.
Il terzo punto: probabilmente serve una Chiesa che usa meno gli scarponi e più le scarpe da ginnastica. Serve una chiesa più agile e snella. 1000 persone hanno seguito su YouTube la catechesi d’Avvento, sono tante. Come mai? Finita l’emergenza lasceremo perdere queste esperienze?
Forse dobbiamo rinunciare ad alcune cose ripetitive, magari facili e che ci costano poche energie perché le facciamo in modo automatico, per sperimentare alcune piste nuove, sicuramente più faticose, ma che danno degli scossoni. Forse una pastorale meno strutturata ma più vicina.

Maria Rizzi cita il libro “La Chiesa che manca” di Armando Matteo. Questo libro fa un’analisi su chi manca nella chiesa. Oltre che i giovani, mancano le donne fra i 30 e 50 anni. Questo vuol dire che non si riesce più a comunicare, a coinvolgere queste persone. La donna è più ricettiva, se non trova un linguaggio adatto si allontana. Queste donne sono quelle che ora stanno facendo le mamme, come educheranno alla fede se non la vivono?
Più che una chiesa con le scarpe di ginnastica auspica una chiesa della tenerezza. Agili sì ma soprattutto non superficiali e freddi, essenzialmente accanto alle storie dell’umanità, proprio là dove la vita accade.
Concorda anche sulla necessità di rinnovare il linguaggio della liturgia.

Cecilia Morosini riprende il bisogno di trascendenza al 70% citato da Ottavio. Anche nell’uomo di oggi, nonostante i numeri in calo, c’è la necessità di completarsi in altro da sé. L’uomo non riesce più a cogliere il senso di certe tradizioni: non dobbiamo cambiare le tradizioni, ma far riemergere il senso.
La Chiesa è capace di far incontrare l’uomo con il trascendente? Sa rispondere alla necessità dell’uomo e far fare esperienza d’incontro?

Federico Manzoni evidenzia come siamo in una nuova stagione sociologico culturale. Nella sua infanzia, il rapporto dell’uomo con la vita era fatto su ritmi e modalità che davano la possibilità di comprendere che la vita era un dono, che l’amicizia si basava sulla lealtà, sull’aiuto reciproco, una solidarietà naturale. La Chiesa e società prevalentemente contadina si sovrapponevano.
Il tempo di oggi non vive più questa cultura: imprenditorialità, autorealizzazione, merito… e i parametri che uniscono la comunità sono cambiati.
Alcuni aspetti però non sono cambiati: si nasce, si muore, si soffre… un tempo tutto questo trovava una sua composizione naturale, ora non è più così, ma l’uomo non può non confrontarsi con questi elementi.
1000 persone hanno seguito la catechesi. Perché? Probabilmente perché, oltre alla qualità tecnica per la quale si loda il regista Beppe Bonfanti, sono state date delle risposte rispetto ad esigenze reali. Il tema non è solo la forma delle cose, ma il contenuto: la proposta di un Dio che si è incarnato e con questo ha assunto su di sé il male del mondo. E’ questo che dobbiamo ancora tradurre, perché è questo che dobbiamo dire alle persone, è di questo che hanno bisogno.
C’è sì un problema di linguaggio, ma anche di cosa offriamo: occasione di incontro con Dio o regole?
La fede nasce dalla testimonianza, a partire da quella degli apostoli. Che testimonianza diamo noi di Cristo?
Tutti i mezzi possono essere validi, ma dipende cosa veicolano.
Non possiamo angosciarci di questa situazione, ma dobbiamo trovare il bello che c’è in questo tempo. Chi fa crescere è il Signore…


Don Mario passa al secondo punto all’ordine del giorno: la fusione fra Scuola Materna Parrocchiale e il Bolognini. Sono due scuole materne con finalità e obiettivi simili. Del resto il Consiglio di amministrazione della Bologni è nominato dal vescovo, dal Consiglio pastorale, dal CPAE.
Ci si sta quindi muovendo in direzione di una realtà unica, anche per accentuare la componente del risparmio di risorse ed energie e far così crescerebbe le opportunità formative.
Sentito il parere della Curia (Vicario Generale, Delegato Vescovile per le attività economiche), Adams (dott. Sertori e sig. Corna) e del CPAE, sembra che la strada sia fattibile, anche se l’eventuale l’iter di fusione non avverrà in tempi brevissimi.

Federico Manzoni vede positivamente l’unione: toglierebbe alla Parrocchia l’onere della gestione economica e, mettendo insieme le forze, dal punto di vista educativo ci sarà sicuramente una crescita…

Don Mario ritiene inoltre il consiglio di amministrazione del Bolognini molto qualificato: ci sono una serie di competenze che alleggerirebbero il lavoro della Parrocchia e darebbero ulteriori possibilità.


In chiusura don Mario informa che si sta studiando qualcosa per le Feste Patronali di settembre: vorremmo porre un segno di speranza per aprire il prossimo anno pastorale, se il piano vaccinale lo permetterà.


Terminati i punti all’ordine del giorno, l’incontro si conclude alle ore 22.38.

Questo articolo è stato pubblicato in PASTORALE da Matteo Vitali . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

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