Verbale di
lunedì 19 ottobre 2020
Oratorio San Giovanni Bosco
Alle ore 20.50, con la preghiera comunitaria s’è dato il via all’incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale.
Assenti: Francesco Assolari, Marco Boni, Davide Camozzi, Luigi Chiodini, Stefano Oldoni, Augusto Paravisi, Antonella Pelliccioli, Andrea Rasmo, Marco Redolfi, Giovanni Stucchi, Alida Carsana.
Viene approvato il verbale della seduta precedente.
Don Marcello Crotti presenta la Lettera Pastorale del Vescovo Francesco “Servire la vita dove la vita accade” per l’anno pastorale 2020-21. Apre la riflessione con una frase scritta da Papa Francesco nel giorno della Pentecoste: “Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”.
Nel primo capitolo di questa lettera, il Vescovo ci fa ripercorrere ciò che abbiamo vissuto nei mesi più difficili della pandemia attraverso i sentimenti che abbiamo sperimentato, che hanno scandito gli ultimi mesi e che stiamo ancora vivendo.
Tre sono le fasi che hanno caratterizzato la nostra vita come comunità.
Fase 1 che ha avuto inizio con la fine di febbraio: Noncuranza, Sgomento, Paura, Fatica, Dolore, Strazio, Ammirazione, Responsabilità, Solitudine, Abbandono, Vulnerabilità, Fragilità, Debolezza.
Fase 2 indicativamente dalla riapertura del 4 maggio: Smarrimento, Rassegnazione, Depressione, Rabbia, Rimozione, Determinazione, Speranza, Impegno, Solidarietà, Sospensione.
Fase 3 da agosto: Condivisione, Concretezza, Prudenza, Giudizio, Pazienza.
Il Vescovo conclude questa prima parte scrivendo: “La pandemia non è una parentesi che prima o poi si chiuderà. Oltre la fase 3 risuona un’istanza di cambiamento, di conversione: dall’individualismo alla comunità. Ma non solo.” Partendo da questa istanza di conversione si arriva al titolo della lettera pastorale che è anche il tema di quest’anno: “Servire la vita dove la vita accade”.
Alcune considerazioni importanti su ciò che è successo alle nostre comunità, alla nostra Chiesa
- Noi siamo la religione del corpo: incarnazione, resurrezione della carne, la Chiesa corpo di Cristo.
Questo uragano che si è abbattuto su di noi ci ha rubato proprio ciò che è costitutivo della nostra esperienza cristiana, ci ha rubato il “corpo”:
- Chiese aperte, ma vuote
- Celebrazioni e sacramenti (segni concreti del corpo) scomparsi
- Oratori (dove i corpi dei nostri ragazzi corrono e giocano) chiusi
- Visite ai malati, alle famiglie sospese
- Non più segni, non più incontri, non più luoghi in cui incontrarsi e gesti di prossimità.
A questo punto il Vescovo lancia una provocazione:
- Rimane una Chiesa “inutile”? Cosa resta se tutto questo è venuto meno?
- È venuto meno il corpo, ha soffiato lo Spirito.
– Le comunità, impedite e private del corpo, si sono lasciate pervadere dallo Spirito.
– Abbiamo vissuto veramente la Pasqua: non abbiamo potuto celebrarla nei riti e nei modi consueti, ma tutto questo periodo è stato una lunga e continua celebrazione della Pasqua, di morte e vita.
– Non solo attraverso le occasioni di ascolto, preghiera e carità, ma in ogni aspetto di questo tempo abbiamo avvertito di essere comunità, che qualcuno c’era, che distanziati eravamo prossimi l’uno all’altro.
– Non siamo stati alla finestra, ma attraverso le “finestre digitali” abbiamo continuato ad avvertire la condivisione, l’ascolto, la comunione. Una condivisione autentica, percorsa dallo Spirito.
- L’icona del Papa, solo, in piazza San Pietro il Venerdì Santo. Ce la ricorderemo per sempre, ci ha colpiti, ci è rimasta nel cuore e nella mente. Un’immagine che ha parlato più di tante parole purtroppo, perché le parole che ha pronunciato sono ancora più importanti di quell’immagine:
– Citando il Vangelo della tempesta sul lago e del gesto di Gesù il Papa ha parlato di giudizio: “è il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”.
– Insieme ad altre parole che esprime quella sera, il Papa riprende più volte l’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium che diventa il lancio del tema di questo anno pastorale:
– La gioia del Vangelo è frutto dello Spirito Santo e questa gioia è la vera testimonianza cristiana.
– La missione non è una difesa, ma un’attrazione. Testimoniare e annunciare il Vangelo non è difendere un insieme di verità ma attrarre qualcuno a Cristo.
– Non dobbiamo stupire, ma stupirci, questa la sorgente della nostra missione.
– Dallo stupore e la gratitudine nascono l’umiltà e la misericordia, che accompagnano il cammino e la testimonianza dei discepoli.
– La misericordia diventa PROSSIMITÀ, capacità di annunciare, testimoniare, incarnare il Vangelo nei luoghi e nei tempi nei quali si vive.
– L’impegno missionario dunque non consiste principalmente nel moltiplicare azioni o
programmi di promozione o assistenza, ma in un’attenzione rivolta al fratello, lì dove abita, vive, gioisce e soffre. Consiste nell’essere servizio della vita, in tutti i luoghi e i tempi nei quali si manifesta.
Questo diventa il mandato alle nostre comunità dunque: SERVIRE LA VITA, DOVE LA VITA ACCADE.
Alcuni criteri
– Nulla può essere dato per scontato, neppure i gesti più minuscoli e quotidiani. Neppure le strutture, le organizzazioni, le attività che fino ad ora abbiamo tenuto in piedi; “è necessario liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto, per aprirle all’ascolto delle parole e della vita dei nostri contemporanei”.
– Non si tratta tanto di fare, ma di come fare: la cura dello stile, flessibilità e gradualità.
– La pandemia non è un castigo di Dio, ma un appello alla conversione. Non basta cambiare le cose, ma dobbiamo lasciarci cambiare il cuore, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione.
– Recuperare il criterio dell’incarnazione: riconoscere i bisogni, immaginare azioni di risposta adeguate e non ossessionate dall’efficienza, alimentare una disposizione accogliente delle varie situazioni, mettere da parte l’ansietà, rallentando il passo, per guardare negli occhi e ascoltare.
– Il tempo è superiore allo spazio: abbiamo sperimentato la paura di perdere terreno, di veder ristretti i nostri ambiti di influenza e di presenza, ma nello stesso tempo abbiamo visto dilatarsi il tempo come non mai.
– Lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati.
– Dare priorità allo spazio porta a diventare matti per risolvere tutto nel momento presente; il tempo invece ordina gli spazi, si tratta di dare forma al tempo, e non subirla. Come fare? Liberandolo dalla gabbia della programmazione.
Alcune scelte per quest’anno
– Evitare la paralisi della programmazione.
– Valutare la gestione dei beni immobili e mobili alla luce della situazione contingente, tenendo sotto osservazione la logica sterile che spinge ad impiegare energie e risorse per mantenere l’esistente, a prescindere dalla finalità che si propone.
– Percorsi catechistici non devono essere considerati una pratica da sbrigare, ma una sfida e uno stimolo a guardare oltre questo momento.
– Una carità che non cada nel semplice assistenzialismo, non la risposta ad un bisogno ma un modo di vivere.
– Il rispetto delle regole per il bene e la salute di tutti è testimonianza di carità evangelica.
– Comunicazione mediatica: un’occasione utile durante il periodo di lockdown per partecipare alla Messa ma che non rimangano le uniche finestre aperte. Bisogna tornare ad incontrarsi.
Al termine della presentazione di don Marcello si apre la fase di dibattito. Prende la parola don Mario che evidenzia come emerga dalla lettera quanto la pandemia abbia accelerato in maniera traumatica una serie di dinamiche già in corso. Cose che non funzionavano più, prassi pastorali su cui ci si stavano già interrogando. Questa pandemia può rappresentare l’occasione per riprendere in mano alcuni aspetti della nostra vita, il nostro essere credenti, il nostro essere comunità e valorizzare ciò che per noi conta a discapito di ciò che conta meno.
La missionarietà che già ci coinvolgeva e ci lasciava indifferenti ora viene messa in luce in maniera più incisiva.
Un altro importante elemento è una pastorale che assume i contorni dell’occasionalità. Finora siamo stati abituati ad una pastorale dell’organizzazione, della funzionalità, della praticità. Ora bisognerà cambiare sguardo, “stare dove la vita accade” e coglierla dove l’uomo è, non dove abbiamo pensato e costruito.
Ottavio Alfieri afferma che la lettera pastorale è un documento che fa riflettere ma evidenzia nello stesso la contraddittorietà nel definire la pandemia come un appello alla conversione, perché la pandemia ha invece, secondo lui, allontanato. Sarebbe stato bello che venisse approfondito il concetto di come il male e Dio si possano conciliare. Un documento di belle parole ma poco concreto.
Per Silvana Vavassori è un documento che aiuta ad approfondire. La pandemia ha permesso di approfondire il suo essere credente e di sentire di più lo Spirito.
Marco Zucchelli si dice molto colpito dal vissuto del vescovo e di come l’abbia sintetizzato in questa lettera, associandolo al tema delle emozioni. Si sta parlando di futuro, quando stiamo vivendo un presente che fa ancora grande paura e pensare a cosa sarà dopo è difficile. C’è ancora grande paura nel tessuto sociale e non sappiamo quando finirà. Centrale è il tema della programmazione anche nella vita di tutti i giorni, lavorare per obiettivi e recuperare la dimensione relazionale è prioritario. Oggi c’è bisogno di relazione e vivere il tempo delle relazioni, riaprire spazi e luoghi nel rispetto delle regole che permettano alle persone di incontrarsi. Stiamo ancora vivendo un tempo sospeso, non si sa cosa ci aspetta.
Don Vladimir non è d’accordo sull’espressione di vita sospesa. La famiglia va messa al centro in questo momento. C’è un netto distaccamento dei sacerdoti dalle proprie comunità ed è necessario pensare a come aiutare la Chiesa ad andare avanti.
Questa lettera pastorale, interviene Federico Manzoni, è indirizzata alle comunità cristiane. Noi componenti del consiglio pastorale dovremmo porci nell’ottica di capire la visione del Vescovo rispetto alla vita pastorale. Ci vengono forniti dei suggerimenti per indicarci le strade attraverso cui immaginare sinodalmente cosa potremmo fare e come. Viene toccato il tema dell’”occasionalità” nella sua accezione positiva che, messa in relazione con il concetto a lei antitetico “programmazione”, serve a farci capire l’importanza di rimanere sempre aperti e pronti a cogliere l’occasione di guardare cosa il Signore ci chiede, secondo il criterio della carità e dell’amore.
Veniamo chiamati come comunità a prestare una mano.
Don Mario: per la vita di una comunità è importante la programmazione. Ma una comunità da questa occasionalità con cui si è trovata a convivere, potrebbe far nascere delle relazioni e farle diventare un’occasione pastorale. Che si traduce, come recita la lettera pastorale, in “servire la vita dove accade”.
Federico Manzoni suggerisce di curare la liturgia in maniera particolare essendo l’unico vero momento di comunicazione con la comunità.
Don Mario parla dell’idea in atto di un servizio streaming per poter seguire da casa la catechesi per adulti. Ricorda inoltre che il lavoro di censimento di gruppi e associazioni della parrocchia è pronto. Sarà pubblicato sul sito e in un secondo tempo stampato.
A Natale sarà predisposto un libretto a colori con immagini relative a Seriate in tempi di Covid. Sarà distribuito in tutte le famiglie con una lettera di accompagnamento con i nomi dei defunti seriatesi che ci hanno lasciato.
Terminati i lavori di gruppo, l’incontro si conclude alle ore 22.38.