Fragilità in equilibrio

UNO SGUARDO AL DORMITORIO GALGARIO DI BERGAMO

Riportiamo l’intervista completa, pubblicata in formato ridotto
sulla “Voce di Seriate” di Gennaio 2020

Forse le temperature non sono così insopportabili come un tempo e l’inverno quest’anno si muove come la curva della povertà assoluta su un piano cartesiano che alcune proiezioni vedono addirittura estinta già nel 2030. Ci sono molti cambiamenti in atto e una ≪cultura inedita palpita e si progetta nella città≫[1]. Ma quali interrogativi pongono ancora i poveri di Bergamo alla Chiesa e alla Città dopo uno sconfinato urto sociale lungo i secoli con opere di carità, progresso e crescita economica che hanno cambiato il loro volto, ma non hanno fermato quello che può crollare addosso o dentro, improvvisamente, facendo perdere l’equilibrio nella vita?

La povertà si può non vedere o può scomparire su un piano cartesiano, ma non si fabbrica se è su quell’«avrete sempre i poveri tra voi»[2] che vogliamo intenderci, così come sulla presenza di Dio ≪scoperta, svelata≫[3].

Chi entra in città, tenendo come punto di riferimento la torre del Galgario delle scomparse Muraine, non può ignorare l’omonino Dormitorio del Galgario con annessa la Chiesa e che fu anticamente un convento. La struttura, oggi restaurata, porta i segni della presenza degli Umiliati tra il 1212 e il 1570; poi dell’ordine dei Minimi, subentrati nel 1638, di cui si ricorda il famoso Fra’ Galgario; dal 1797, durante la repubblica Cisalpina, è adibita a caserma; infine torna luogo di culto nel 1957. Dopo un periodo di inutilizzo, viene riaperta come centro di accoglienza con la prima ondata migratoria. Nuovamente richiusa per un breve periodo, riparte come Dormitorio insieme a Caritas, Cooperativa Pugno Aperto e Cooperativa Ruah. Semplicemente paragonabile a una piccola parte di ≪quel che sta sopra la tavola≫[4] di una grande città, il Dormitorio maschile Galgario da 20 anni è un centro ben integrato, aperto a tutti e offre un servizio prezioso per chi vive momenti di fragilità e marginalità estreme.

Di strutture come il Galgario, in quanto dormitorio maschile, ci sono il Patronato di Bergamo e di Sorisole, mentre come dormitorio femminile ricordiamo quello di Suor Daniela di Torre Boldone che fa anche accoglienza e la Caritas di via Palazzolo. La Bonomelli, diversamente dal Galgario, è invece una struttura di seconda accoglienza perché introduce le progettualità.

Nel chiostro del Dormitorio mi accolgono per condividere alcune domande Francesco Maffeis della Cooperativa Il Pugno Aperto, coordinatore della équipe educativa, insieme a Massimo Zanini della Caritas Diocesana, anch’esso coordinatore del servizio Dormitorio Galgario.

Il dormitorio resta vincolato a degli orari: apre di sera alle 20:00 e chiude al mattino alle 8:00. Solo fino al 2006 era legato al periodo invernale, estendendo poi l’apertura, definitivamente, a tutto l’anno. I numeri delle presenze cambia in base alle stagioni: mediamente 60 posti letto in primavera/estate; 90 posti letti durante l’inverno. Tecnicamente il dormitorio non è il luogo dove la persona si stabilizza con continuità, ma la permanenza si diversifica sull’evoluzione delle singole progettualità in sinergia con altre strutture. Può capitare che ci siano accoglienza di 4-5 mesi. Inoltre, quando si avvia quello che viene denominato il “piano freddo” (emergenza invernale) le persone aumentano di altre 27 unità con permanenza di due settimane.

1 – Nelle nostre città, che mostrano segni di deumanizzazione, i più deboli possono ancora trovare aiuto?

 Massimo Z.– Sembra più marcato l’aspetto egoistico: si pensa più ai singoli e meno alla comunità. Però, qui a Bergamo, gli aiuti non vengono meno. La vera questione è quanto la persona portatrice di un bisogno voglia farsi aiutare … perché sul piatto della bilancia c’è la libertà e la storia del singolo individuo. Le disponibilità comunque ci sono e provengono dal volontariato, dalle associazioni private, dalle cooperative, dagli enti pubblici. C’è una filosofia scelta insieme per attivare l’aiuto. Noi condividiamo con gli ospiti alcune strade e possibilità, le percorriamo insieme senza alcun obbligo. Conosciamo certamente la fatica di qualcuno, i “tira e molla”, di chi va e rientra. Osservo che da parte della società, rispetto a 20 anni fa, sia più netta la spaccatura tra chi non ne vuole sapere di conoscere questa realtà e chi invece si dà da fare.

Francesco M. – La grande novità è che il dormitorio si è aperto alla città dal novembre del 2018. Da allora abbiamo riscontrato molta curiosità dai cittadini nei confronti di questo luogo e delle persone che lo abitano. Abbiamo ricevuto attenzione ed empatia realizzando più di 100 eventi: dalla “cena degli avanzi” con la partecipazione di 300 persone a micro serate con corsi o cinema all’aperto sempre di grande interesse. Oltre all’aiuto materiale ai nostri poveri si è attuato l’aiuto relazionale, altrettanto importante.

I volontari del dormitorio sono una ventina, una quindicina gli operatori. Senza dimenticare il fattore “autodeterminazione” l’aiuto e il cambiamento viene messo in atto solo e soltanto se la persona interessata decide di farlo. Nessuno viene obbligato.

2 – È ragionevole aiutarli anche per una sola notte?

 Massimo Z.-  Sì, si tratta di un servizio di emergenza. Attraverso un sistema di turnover le  persone possono stare qui una notte o due, poi possono passare in emergenza “freddo”.

Generalmente si approda in questo luogo non per dipendenza da gioco o da sostanze, ma per un insieme di fattori: è come un puzzle che si compone. Quando si rotola in basso questo è il primo gradino per cercare di risalire.

Francesco – Il mantra che deriva dalle linee guida in contrasto alla grave emarginazione dettato da un documento ministeriale ai comuni è quello di organizzarsi affinché una persona non dorma fuori più di una notte. Quindi, l’aiuto per una sola notte è un punto d’inizio. È il minimo sufficiente. Poi, cerchiamo di andare avanti: vediamo il giorno dopo cosa mettere in fila per evitare una seconda notte sulla strada. Da qui si cerca una soluzione insieme sapendo che ci sono casi di fragilità adulta che vanno dal disoccupato che ha perso tutto, alla persona che vive per strada da 20 anni e chi ha problemi di dipendenza. La proposta è quella di offrire continuità all’accompagnamento in emergenza.

3 – Perché esiste il disagio, come sono cambiate le fragilità umane, quale la funzione e lintegrazione dei dormitori pubblici nellarchitettura globale della città?

Massimo Z.– Il disagio è connaturato all’esistenza dell’uomo. Le fragilità sono cambiate. Quando ho iniziato a fare l’educatore era molto chiara la suddivisione tra alcolista, eroinomane e cocainomane. Poi tutto si è mischiato, sono cambiate le sostanze, è arrivata la grande ondata migratoria … si sono aggiunte fragilità, ma sono cambiati anche i modi di affrontarle. Il desiderio e lo sforzo di aprire il dormitorio alla cittadinanza è stato proprio questo: fare incontrare i nostri ospiti con il resto della città. Farsi conoscere significa abbassare i muri della paura, della diffidenza. Se la percezione è “ok questo è un luogo bello e vissuto da queste persone” allora ci metto anch’io la faccia per conoscere chi c’è dentro. Così come ciascuno di noi incontra persone buone e cattive, allora perché non conoscere la realtà del Dormitorio/ex convento con tanto di affreschi preziosi nel chiostro: non ci saranno 80 stinchi di santi, né frati … ma nemmeno 80 assassini!

Valorizziamo la persona. Può avere tutti i problemi del mondo ma rimane persona.

Francesco M. – La società è diventata molto complessa. Vivere è dunque molto più difficile di 20 anni fa. Io sono convinto che buona parte delle persone che sono qui un posto nell’edilizia o come turnista in fabbrica l’avrebbero trovato. Ma, oggi le competenze richieste sono più toste e quindi si fa sentire la fragilità di chi ha una certa età e sprofonda verso il basso. Non è solo una questione di immigrazione … c’è un po’ di tutto.

Sull’architettura mi vengono in mente tre cose: 1) I servizi all’interno del tessuto sociale. Vedi: questo parcheggino qui fuori non c’era fino a un anno fa, non si vedeva perché c’era un’autorimessa, cemento orripilante che negava la vista di questo convento meraviglioso alla città. Tante persone che passavano di qui non sapevano del dormitorio/monastero a causa del muro e pensavano che fosse ancora parte della caserma abbandonata. Con la ristrutturazione si è abbattuta l’autorimessa, restituendo alla città un angolo stupendo. Come in un doppio salto carpiato ci siamo ritrovati in un luogo bellissimo dedicato a noi, a questa realtà caritatevole. 2) La bellezza è una spinta motivazionale e un “toccasana” per chi usufruisce di questo servizio. Lo abbiamo verificato: c’è stato un netto abbassamento degli episodi di incuria. 3) Il dormitorio fa evolvere chi è emarginato ma non è la panacea e servirebbero più case in mezzo alla città per le persone a cui manca.

4 – Cosa succede il mattino seguente?

Francesco M. – Fisicamente il dormitorio chiude ma “passa la palla” ad altri servizi che sono in città: servizi sociali per costruire progetti a favore della persona in difficoltà. Tutto questo in sinergia, in una rete dei servizi. Non più, dunque, ciascun servizio a sé stante. Si fa parte tutti di un unico sistema. Addirittura ci si è organizzati unitariamente in un’unico ente da circa un anno e mezzo con un progetto denominato “Ponte” per mettere in rete tutte le realtà che si occupano di emarginazione. Il Galgario è un perno fondamentale in questo progetto.

5 – NellEvangelii Gaudium si legge che il senso profondo dellesistenza di solito implica anche un profondo senso religioso”. Il dormitorio di una città può diventare un luogo privilegiato della nuova evangelizzazione?

 Massimo Z. – Domanda impegnativa. Per me è diventato un luogo di evangelizzazione. Mi sono evangelizzato vivendo e facendo le notti qui. Ho riscoperto il Vangelo in alcuni passaggi: non giudicare, affiancarsi ai “poveri”senza quell’atteggiamento pietistico, stare con persone sole, relazionarsi con sentimento di vicinanza, tolleranza, comprensione, pacatezza. Devo ringraziare le persone che sono qui ospiti se ho acquisito queste capacità e le posso portare fuori. Me lo hanno insegnato loro e mi hanno fatto riflettere su questo punto di vista evangelico. Vedo questo luogo come un esempio di Chiesa in uscita perché va incontro all’altro.

Francesco M. – Qui si concretizza il messaggio cristiano “duro e puro” del prendersi cura dei più deboli. Qui la Chiesa si sfida a sporcarsi le mani senza tante chiacchiere dal pulpito. Si manifesta la vicinanza anche a persone di altre fedi praticando valori universali e di umanità.

6 – Chi sono i volontari?

Francesco M. – Sono ad oggi una ventina di persone che dedicano il loro tempo alla sera durante l’apertura del dormitorio agli ospiti. Gestiscono la stanzetta del tè  e chiediamo a loro di portare la normalità della loro vita. In questo diventa credibile in una relazione informale con l’ospite. Per questo sono una risorsa preziosissima del Dormitorio. Alcuni di loro sono motivati dal punto di vista religioso, altri per una cittadinanza attiva.

7 – Un giovane volontario cosa può interiorizzare dal contatto con i più bisognosi?

Francesco M. – Altro aspetto molto importante è quello dei giovani che una sera alla settimana si occupano di gestire la saletta del tè. Sono giovani dell’Oratorio di Grassobbio che da due anni vengono tutte le domeniche sera. Da sempre il Dormitorio Galgario ha un occhio di riguardo verso i giovani, li invitiamo, capitano Parrocchie che per i giovani ci chiedano di passare qui una serata. Cogliamo l’occasione per invitare i giovani di tutte e cinque le zone di Seriate!

8 – Chi sono i fruitori di questo servizio?

 Massimo Z. – Sono soggetti che appartengono a tutto l’ambito della vulnerabilità, marginalità e disagio di vario tipo. In Galgario solo uomini che vengono di loro spontanea volontà oppure accompagnati dal servizio emergenza serale, mentre per i casi ordinari fanno riferimento agli sportelli del “centro di ascolto” della Caritas o quello di “prossimità” del Comune che si preoccupano di incontrare le persone, fare un filtro prima dell’invio in strutture. Chi entra ha un nome, cognome, tessera di riconoscimento e registrazione presenze. Non è ad accesso libero perché ogni persona ha un progetto specifico.

 Francesco M. – Diciamo che l’idea dei dormitori da film all’americana con file interminabili qui non esiste. Questo operazione di filtro è una operazione di cura alla persona.

9 – Come si vince il senso di impotenza e di frustrazione di fronte alle fatiche di fragilità che non trovano sbocco? 

Massimo Z. – Il senso di frustrazione è quotidiano e con l’esperienza si gestisce. Quando incontri persone al limite estremo della fragilità, si fa tutto il possibile. Tuttavia, anche se col tempo si dovesse scoprire che pochi escono dal tunnel della disperazione, questo impegno non si deve interrompere. A qualcosa è servito.

Francesco M. – Ci vuole tanta pazienza e la capacità di cogliere i piccoli passi rispetto ad aspettative molto alte. Può succedere, soprattutto in età adulta.

10 – Le tante fragilità che incontriamo pesano anche sulla coscienza di tutti noi. Cosa possiamo fare per alleviare le sofferenze dellemarginazione?

 Massimo Z. – Il solo fatto di aprire il Dormitorio alla cittadinanza è già una risposta concreta. Il senso di cambiamento si costruisce con la conoscenza.

 Francesco M. –  Incontrare e conoscere. Non bisogna accontentarsi del “sentito dire” e dei pregiudizi. Oggi servono persone che abbiano voglia di incontrare e conoscere le persone che ci vivono nel dormitorio. Solo i punti di contatto relazionale possono aiutare i nostri ospiti. Le occasioni ci sono: organizziamo corsi di teatro, di fotografia, di scultura per ospiti e per la cittadinanza; poi la cena degli avanzi, il cinema all’aperto e … tanto altro.


[1] Evangelii Gaudium, 73
[2] Mt 26, 11
[3] [3] Evangelii Gaudium, 71
[4] “Quod super est date pauperibus” secondo l’interpretazione di Giorgio La Pira

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