Consiglio Pastorale del 14.05.2019

Verbale di
martedì 14 marzo 2019

Centro Pastorale Parrocchiale

 

Alle ore 20.55, con la preghiera comunitaria s’è dato il via all’incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale.


Assenti: Antonella Pelliccioli, Marco Boni, Elisa Meloni, Don Marcello Crotti, Don Vladimir Kolupaev, Alida Carsana, Giacomo Rocchi, Stefano Oldoni, Davide Camozzi, Bernard Perlman


Con l’approvazione del verbale precedente, il parroco, don Mario C. apre la serata con il tema all’o.d.g. – Riflessioni a partire dall’articolo di Paolo Carrara “La parrocchia alla prova della “mistica trasparenza”.

Un’occasione per trovarsi a riflettere a livello di diocesi su un argomento di grande attualità che ruota attorno alla figura pastorale della parrocchia. Ci si chiede, come provocazione, se abbia ancora senso l’esistenza della Parrocchia oggi e quale ruolo abbiano le CET.

È un tentativo di riflessione della Chiesa di Bergamo su un cambiamento in atto in cui sono coinvolte tutte le parrocchie di Italia. Trattasi di un cammino fatto di difficoltà e fatiche che altre diocesi conoscono già da tempo.

L’esigenza di continuare a riflettere attorno alla parrocchia e alla pastorale che la caratterizza deriva da un dato di realtà: alla centralità che, per la Chiesa italiana, la parrocchia continua a rivestire si accompagna la percezione di un affaticamento pronunciato che oggi la attraversa. Si rende necessario aprire degli interrogativi a riguardo per un cambiamento che siamo chiamati a mettere in atto. Poiché strutturalmente espressione di una presenza della Chiesa nel mezzo della vita delle persone, la parrocchia consente di aprire l’interrogativo relativo ad alcune questioni radicali (quale figura di cristianesimo e di Chiesa per questo tempo) senza tuttavia perdere il contatto con il reale stesso. La traiettoria che questa riflessione assume è una sorta di “via media” tra queste problematiche.

L’articolo si compone di tre passaggi.

  1. Una pastorale di conservazione arenata

Don Paolo Carrara, insegnante di teologia pastorale in Seminario e autore di questo documento, parte da una riflessione del 1979 di Henri DE LUBAC e la affronta con una visione di attualità. La questione posta da Don Paolo è “il Vangelo è adeguatamente annunciato?”. Ma le ragioni per porsela sono diverse: non più quelle di ordine teorico, ma è la fatica “palpabile” dentro i racconti di chi vive il ministero di parroco e di chi, anche da laico o consacrato, è inserito nella realtà parrocchiale. Essa emerge anche dagli studi (quantitativi) degli ultimi anni, relativi all’Italia e non solo.

Le manifestazioni più evidenti della fatica ecclesiale: il calo della partecipazione alle Messe e della richiesta di sacramenti (matrimonio e confessioni in particolare, ma anche battesimi…); il calo delle offerte; la fatica a rendere le famiglie attive dentro il processo di iniziazione cristiana dei figli; la fatica nella prosecuzione di percorsi oltre l’animazione da parte degli adolescenti; la latitanza dei giovani; il disinteresse del mondo adulto verso la formazione e l’approfondimento della fede; la caccia al tesoro per scovare catechisti e operatori pastorali; una certa stanchezza da parte dei preti, anche giovani; la percezione di una vita che viene impostata secondo altri riferimenti. Ciò non cancella i segni di vitalità ancora presenti (le Messe e i sacramenti, i percorsi di catechesi, le azioni caritative in atto, l’oratorio e tutte le azioni educative, i percorsi di accompagnamento), ma non può neppure essere bypassato. Sono una serie di segnali che evidenziano il problema di anno in anno.

C’è stato un passaggio di tipo sociale. Prima la parrocchia svolgeva un ruolo sociale e formativo nel tessuto di una comunità, la cosiddetta “parrocchia delle opere”. Essa è costituita da un insieme ordinato di azioni volte all’inquadramento della popolazione e alla prosecuzione dell’opera sociale della Chiesa, anche dentro un contesto di prima scristianizzazione.

Da comunità che dovrebbe annunciare il Vangelo, la parrocchia si vede trasformata in una “stazione di servizio” indipendentemente dalla fede di chi si rivolge ad essa (es. richiesta certificati, CRE). In secondo luogo, la crisi che investe la parrocchia ha riflessi sul livello istituzionale: caduta della pratica religiosa, diminuzione del numero dei preti e loro invecchiamento, struttura urbana più complessa, calo degli ingressi a livello di volontariato pastorale. Ancora più radicale è la terza dimensione di crisi: la parrocchia non si vede più riconosciuta la funzione di principio regolatore della vita (personale e locale) e del bisogno religioso. Si attivano forme di appartenenza alla istituzione ecclesiale di riferimento libere e personali: è il singolo a decidere le modalità della sua appartenenza all’istituzione religiosa, come i contenuti di fede a cui credere e le regole etiche da rispettare. La questione è accentuata dal pluralismo culturale e religioso che segna ormai i nostri paesi, oltre ai quartieri delle città.

Un altro cambiamento importante è la trasformazione della domanda di salvezza. Come indicato da numerose indagini sulla realtà giovanile e non solo, in questi anni tale domanda è cambiata profondamente: da una salvezza associata all’orizzonte della vita nell’aldilà e alla comprensione di un ordine morale e rituale in cui iscrivere la propria vita, oggi emerge la figura di una salvezza che ha a che fare anzitutto con l’incontro con una possibilità di vita praticabile e che renda sensato lo stare in essa.

  1. L’identità dinamica della parrocchia

Il nostro compito non consiste in una difesa a oltranza dell’apparato organizzativo che la tradizione ci consegna, quanto nel tentare nuovi esercizi e nuove forme di inculturazione del Vangelo.

Due i tratti non barattabili:

– il principio territoriale. La parrocchia è l’istituzione attraverso cui la Chiesa si realizza in questo luogo, secondo il principio territoriale. Per noi la Chiesa ha il volto della parrocchia di Seriate. Si inserisce nella realtà della comunità in cui viviamo. Il volto di tale comunità è poliedrico e la parrocchia consente diverse porte di accesso all’esperienza di fede: i cammini personali, le esperienze di piccoli gruppi, il cammino stabile di una comunità, ma anche l’orizzonte flessibile dell’assemblea eucaristica. Per questo motivo la parrocchia non offre tutto, ma l’essenziale che occorre per diventare cristiani – dalla nascita alla fede attraverso il battesimo fino alla morte. Essa è porta di ingresso all’esperienza cristiana, ma non la esaurisce, e perciò esige di rinviare – per chi lo vuole o ne ha bisogno- ad esperienze ecclesiali più specifiche e connotate.

 – la parrocchia come “spazio attivo” che sa modificare nelle persone che lo abitano gli assi e le coordinate di interpretazione dell’esperienza e attraverso cui si mediano i significati fondamentali della vita. Il “passaggio” attraverso la parrocchia non dovrebbe lasciare indifferenti, ma aiutare a realizzare in chiave di fede la propria vita.

  1. Verso una parrocchia missionaria

Si deve iniziare a pensare ad una parrocchia che assuma un volto missionario. Il riferimento tradizionale alla figura del missionario può aiutare ad intuire la direzione che il passaggio da una pastorale di conservazione ad una pastorale rinnovata vuole indicare. Quattro le caratteristiche che identificano il missionario:

1) il missionario sa che l’accoglienza non è scontata e vive di questa incertezza;

2) si mette in viaggio con un bagaglio leggero;

3) deve affrontare la fatica di apprendere una nuova lingua;

4) può portare la ricchezza della sua tradizione e giocarla nell’incontro, disposto poi ad uscirne trasformato.
Traslando i quattro punti sulla realtà della parrocchia si potrebbero riassumere in questo modo:

1) è finito il tempo della cristianità e del catecumenato sociale, la fede non è più scontata e lo si vede nella diminuzione della partecipazione alle messe e delle adesioni ai sacramenti;

2) urge un cambiamento che chiede di abbandonare qualcosa – ciò che un tempo serviva e che oggi non serve più, per concentrarsi sull’essenziale;

3) la pastorale parrocchiale è impegnata in un compito di apprendimento di una nuova lingua: le sue consuetudini, i suoi linguaggi, i suoi stili spesso si riferiscono ad un orizzonte culturale ormai passato. Una pastorale missionaria invece deve essere preoccupata di favorire la sempre nuova contaminazione tra il Vangelo e l’esistenza concreta di ogni persona, tra il Vangelo e la nuova cultura che avanza.

4) La parrocchia deve riattivare la disponibilità a mettersi in discussione e deve rinnovare il desiderio di vedersi arricchita da un confronto che a tratti appare umiliante, ma che è l’unica possibilità affinché la voce del Vangelo continui a risuonare anche oggi.

La riforma si deve sempre articolare attorno a tre dimensioni:

1) i contenuti della coscienza collettiva.

2) la forma delle relazioni interne ed esterne. Serve che la fraternità assuma i tratti dell’ospitalità: poiché alla parrocchia appartiene anche chi la attraversa per qualche occasione particolare – pur non condividendo stabilmente il cammino che essa propone.

3) le strutture, le procedure, le attività, i ruoli in cui si esprime e si mantiene il corpo sociale. L’assunzione di uno stile missionario, ovvero il mettersi sul terreno dell’altro per apprendere la sua lingua e lì annunciare il Vangelo, che si sposa con la dinamica del “primo annuncio”, cioè la logica di una fede che non può più essere data per scontata.

A livello organizzativo, è utile procedere verso una diversificazione della proposta: non tutte le parrocchie devono fare tutto e non tutte le parrocchie devono essere uguali. Sembra importante proseguire e accelerare il cammino di “pastorale d’insieme”, anche attraverso lo strumento delle unità pastorali, ma sapendo che il traguardo non sono le unità pastorali come tali: l’obiettivo consiste in una pastorale d’insieme, con una presenza più qualificata e più significativa sul territorio.

Bisogna ragionare per “poli parrocchiali”, un insieme di comunità parrocchiali che si strutturano in funzione della loro diversità e singolarità attraverso rapporti di complementarietà. Per dirla in termini commerciali, si tratta di provare a diversificare l’offerta piuttosto che insistere sulla vendita di un unico prodotto.

C’è la necessità di una progettazione e programmazione che procedano in maniera sinergica, a favore di una gestione più “strategica” della parrocchia capace di mettere in evidenza alcuni suoi punti di forza e le priorità su cui puntare.

Il rinnovamento pastorale chiama in causa anche i ministeri all’interno delle comunità parrocchiali. In particolare, il percorso svolto sembrerebbe favorire questi tratti del sacerdote: il compito di tenere vivo uno sguardo complessivo sulla Chiesa e la sua presenza oggi; la dinamica del presbiterio; l’esercizio di una conduzione meno verticista e più orientata verso lo stile della presidenza.

La questione va presa in seria considerazione: non è scontato che le forme attuali del ministero presbiterale siano effettivamente adatte alla pastorale di cui il presente ecclesiale necessita.


Ottavio Alfieri interviene sostenendo che il documento sottoposto al consiglio è una lettura con terminologie difficili. Servirebbe uno sforzo da parte della Chiesa nell’utilizzare un linguaggio più semplice in modo da poter arrivare a più persone.

Marco Zucchelli sostiene il bisogno di riflettere su cosa significa “abitare il territorio” e quali siano gli strumenti che permettono di conoscere il territorio per abitarlo. E poi si sofferma sul significato dell’essenzialità nelle istituzioni così come nelle scelte pastorali.

Don Marco coglie la provocazione iniziale del testo: “il Vangelo è adeguatamente annunciato?” e su un altro passaggio “non siamo chiamati a fare tutto ma solo a mantenere l’essenziale”. Secondo lui siamo sempre più spesso preoccupati a mantenere tutto perdendo di vista l’essenziale. Definire l’essenziale è davvero difficile, soprattutto se ci si trova a dover definire cosa sia essenziale per ciascuno di noi.

Per Giovanni Stucchi come Comitato Pastorale dovremmo essere grado di aprirci alla nostra comunità, analizzarla e improntare su di essa le scelte che siamo chiamati a fare come sacerdoti e come laici.

Augusto Paravisi sostiene che non è facile aprirsi alle novità, specialmente per le persone di una certa età. Ma bisognerebbe cambiare il passo per far arrivare a più persone il messaggio del Vangelo con un linguaggio adatto a tutti.
Per Federico Manzoni si può trovare una soluzione camminando insieme, cercando di coinvolgere in questo cammino anche le altre persone appartenenti alla nostra comunità ed essere un punto di riferimento nella testimonianza del Vangelo.
Maria Rizzi interviene sostenendo che manca la dimensione spirituale necessaria per un cambiamento vero e per mettersi instaurare un contatto con le persone. È giusto mettersi a servizio di qualcuno ma lo si deve fare per chi ne sente davvero bisogno.

Per Cecilia Morosini la Chiesa dovrebbe ascoltare la voce dell’uomo e quindi aprirsi, accettare il confronto. Deve rappresentare un percorso di accoglienza e accompagnamento, magari attraverso dei percorsi differenziati proprio per venire incontro alle diversità di ciascuno. Sarebbe utile, aggiunge, non pensare a chi già gravita intorno all’ambiente parrocchiale, ma anche a chi si percepisce più lontano senza escluderlo a priori.

Don Mario C. chiude la discussione ribadendo che la questione aperta stasera non si esaurisce in questa sede ma sarà oggetto di confronto anche nei prossimi mesi.


Varie ed eventuali

Don Mario C. presenta il libro da lui scritto i cui proventi derivati dalla vendita andranno a riparare il mantice dell’organo in parrocchia.

 In occasione del 250° anno della parrocchia il 15 settembre alle ore 11 la messa sarà trasmessa in diretta dalla Rai.

L’incontro si conclude alle ore 22.50.


 

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