Intervista a Don Luca Della Giovanna
Incontro Don Luca Della Giovanna a Paderno durante il suo trasloco. Con gentilezza, mi concede del tempo mentre i suoi libri, allineati nella libreria come pellegrini sulla linea di partenza, sembrano fissarmi in attesa, pronti a intraprendere il loro viaggio all’interno delle scatole.
Don Luca, vicario parrocchiale di Seriate da cinque anni, biblista ed esperto di pellegrinaggi in Terra Santa, è stato nominato nuovo Direttore dell’Ufficio per la Pastorale dei Pellegrinaggi, del Tempo Libero e del Turismo per la Diocesi di Bergamo. Per un anno sarà anche amministratore parrocchiale di Sant’Antonio di Padova in città (zona Valtesse).
Che cosa affascinante! Come hai sviluppato questa passione per l’archeologia biblica e i viaggi correlati?
L’archeologia biblica rappresenta solo una parte. L’Ufficio, nel suo insieme, è dedicato all’ampio tema del pellegrinaggio in tutte le sue sfaccettature. L’archeologia costituisce una componente specifica della mia formazione, utile per fornire strumenti di conoscenza ai pellegrini, ma è solamente una parte di essa. La richiesta del vescovo è di assumere la piena responsabilità dell’Ufficio Diocesano che si occupa di pellegrinaggi, turismo religioso e tempo libero. Questo Ufficio riunisce tutte e tre queste dimensioni. Con l’attuale riforma della Curia di Bergamo, quest’Ufficio sarà coordinato da un nuovo delegato vescovile che il vescovo ha individuato – per la prima volta in assoluto – nella figura di una donna laica (la dott.ssa Sabrina Penteriani, per la precisione). In questo ambito sono coinvolti anche l’Ufficio della Cultura e l’Ufficio Liturgico.
Davvero una novità. E allora, cos’è il pellegrinaggio?
Il pellegrinaggio rappresenta per la Chiesa una modalità pastorale preziosa per trasmettere la fede. È uno degli strumenti a disposizione di ogni Diocesi, maturato nel corso degli anni, praticamente fin dagli albori dell’era cristiana. Ultimamente il “viaggiare” ha assunto nuove forme e nuove possibilità – pensiamo solo ai mezzi di trasporto e alle modalità di viaggio rispetto a 100/200 anni fa – ma è un fatto innegabile costatare che oggi molte persone viaggiano. Si spostano per piacere, per esplorare il mondo e le diverse culture, per motivi lavorativi… La mobilità si è amplificata considerevolmente in quest’ultimo periodo.
Nel mondo, vi sono moltissime mète che riguardano direttamente il tema della fede, del religioso o semplicemente mète che interessano per una ricerca personale di carattere spirituale o esistenziale. Prendiamo, ad esempio, il “Cammino di Santiago”: questo percorso può essere affrontato a livello personale per motivi diversi, per lo più non strettamente religiosi.
La scelta della Chiesa è di investire ancora persone e risorse a sostegno di questo aspetto della vita reale delle persone, convinta che questo “strumento” abbia molto da offrire riguardo all’annuncio della fede. Per coloro che già credono rappresenta l’occasione per alimentare e rinnovare ulteriormente la fede. Per altri è una nuova opportunità, un punto d’inizio sia perché non sono legati a un percorso di fede tradizionale, o perché sono distanti dalla comunità cristiana, o perché, da molti anni, non partecipano più attivamente alla vita della Chiesa. Se affrontato in un certo modo, un buon pellegrinaggio può riaccendere il motore della ricerca della fede e offrire orizzonti di senso. Credo sia questa la preoccupazione fondamentale da cui tutto parte e da cui derivano le diverse scelte.
Quali tipi di pellegrinaggi conosci?
Vi sono diverse tipologie. Vi è, per esempio, il “pellegrinaggio occasionale”, cioè la semplice visita a un santuario o a un luogo di preghiera, magari all’interno di un viaggio di vacanza o di una gita in famiglia. Molti invece praticano il cosiddetto “pellegrinaggio di devozione” perché legati a un luogo ben preciso in cui hanno vissuto un’esperienza spiritualmente forte e vi tornano più o meno regolarmente (penso a Lourdes, Fatima, Medjugorie, San Giovanni Rotondo). Abbiamo poi i “pellegrinaggi biblici” che si sviluppano sui luoghi originari della fede e della Scrittura come la Terra Santa, la Grecia, la Giordania, la Turchia. Queste mète necessitano di guide preparate e capaci di accompagnare le persone anche a un livello più spirituale.
Il mio incarico sarà quello di garantire, per quanto possibile, un servizio pastorale per offrire ai pellegrini strumenti, contenuti, criteri di rilettura dell’esperienza vissuta a livello più personale. Inoltre, mi è chiesto di promuovere pellegrinaggi diocesani secondo le indicazioni del vescovo e di supportare i sacerdoti quando organizzano pellegrinaggi con i propri parrocchiani. Nella nostra Diocesi, a supporto di questo lavoro ecclesiale opera da oltre cinquant’anni un’agenzia di professionisti, la OVET Viaggi, di proprietà della Diocesi, che si occupa dell’organizzazione pratica. Buona parte del mio tempo sarà condiviso proprio con i dipendenti della OVET.
E quali altri aspetti?
Oltre al pellegrinaggio vi sono alcune iniziative che riguardano il turismo religioso. Penso, ad esempio, alle iniziative dedicate quest’anno a Bergamo-Brescia “Capitali della Cultura” che coinvolgono la Diocesi e vengono realizzate in collaborazione con gli altri Uffici della Curia.
Un altro aspetto riguarda la cura pastorale dei santuari della nostra Diocesi (sono molto numerosi). Tra di essi ve ne sono alcuni particolarmente frequentati come il santuario di Stezzano, la Cornabusa, Ardesio, Sotto il Monte, solo per citarne qualcuno). Mio compito sarà quello di curare i rapporti tra i santuari e la Diocesi, tra le parrocchie interessate e la Curia.
Quest’Ufficio è presente nella maggior parte delle diocesi italiane?
Che io sappia, tutte le Diocesi sono dotate di questo Ufficio, gestito sia da preti che da laici. Come esistono l’Ufficio per la Catechesi, per la Famiglia, per la Pastorale Giovanile, per la Salute… esiste anche l’Ufficio diocesano dedicato ai pellegrinaggi. Anzi, ultimamente molte diocesi stanno investendo su questo Ufficio proprio per la richiesta esponenziale delle persone dopo la pandemia.
Anche Don Angelo Roncalli fu pellegrino in Terra Santa….
La Terra Santa, senza dubbio, rappresenta la meta più significativa del pellegrinaggio cristiano. Tuttavia – ribadisco – ogni pellegrinaggio ha la sua rilevanza. Oltre a scoprire le sue bellezze naturalistiche e storiche, l’esperienza della Terra Santa ha la forza di riportare alle origini della fede e di far camminare le persone sui passi di Gesù così come ci raccontano i Vangeli. Laddove Gesù di Nazaret è nato, vissuto, morto e risorto, si viene riportati al cuore della fede e si ha l’occasione di conoscere meglio il contesto storico-culturale in cui Egli ha rivelato il volto del Dio d’Israele. Oggi tante cose non sono più visibili e la modernità sta avanzando ininterrottamente, però, grazie alla plurisecolare presenza cristiana, è ancora possibile cogliere qualche traccia qua e là. Certo, la Terra Santa visitata nel 1905 dal futuro Papa Giovanni XXIII era un po’ diversa da quella di oggi… eppure i sentimenti dei pellegrini sono ancora gli stessi.
È davvero una missione meravigliosa. Come è nata questa tua passione per i pellegrinaggi?
Ogni Diocesi conta sui suoi esperti. Anche nella bergamasca ci sono persone che amano viaggiare e che possiedono grandi competenze, maggiori rispetto alla mia. La mia passione è maturata attraverso gli anni della formazione biblica e grazie ad oltre venti viaggi in Terra Santa. Essere “guida” in Terra Santa non si limita soltanto a presentare i luoghi, bensì a far vivere un’esperienza completa, ovvero, stare con la Bibbia in mano e offrire alle persone delle domande su cui rifondare la propria fede. A questo si unisce la capacità di tenere unito un gruppo e garantire tutte le condizioni per rendere il viaggio confortevole. Parlare esplicitamente di Gesù e del Vangelo mi arricchisce ogni volta in modo nuovo. Qui colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha preceduto in questo incarico e tanti “maestri” – sia preti che laici – che ho incrociato e che mi hanno trasmesso la loro passione e le loro competenze.
Chi partecipa di più a questi pellegrinaggi?
Per quanto riguarda i viaggi organizzati, l’età media dei pellegrini è piuttosto alta, principalmente per motivi economici, dato che soprattutto i pellegrinaggi biblici richiedono un certo costo. In questo i giovani o genitori che hanno figli ancora piccoli non sono avvantaggiati. I gruppi parrocchiali solitamente coinvolgono persone che appartengono a una fascia d’età dai 50 anni in su. Per la Terra Santa siamo addirittura all’80%.
I giovani tendono a viaggiare in piccoli gruppi e seguono percorsi diversi avendo anche strumenti culturali più sofisticati. Alcuni giovani che ho personalmente avuto nei miei viaggi hanno mostrato un grande interesse nel rileggere alcuni temi fondamentali della fede. La ricerca di senso continua ad affascinare quando certe domande e certe risposte arrivano dritte al cuore…
I giovani hanno inaugurato in questi ultimi anni il cosiddetto turismo “slow” (a breve distanza, “vicino”), percorsi brevi, mirati e interdisciplinari che comprendono mete di tipo religioso ma non solo.
Quanto è diffuso il desiderio delle persone di viaggiare con l’intento di condurre anche esercizi spirituali?
Se questa disposizione non è presente fin dall’inizio, spesso viene riscoperta nel corso del viaggio. Un esempio è proprio la Terra Santa: nonostante la regione sia ricca di archeologia e di elementi culturali, il viaggio in Terra Santa non può limitarsi a soddisfare un semplice piacere turistico. Ho notato che, se organizzato in modo appropriato, il pellegrinaggio accende questo desiderio spirituale. Quando si ritorna a casa, qualcuno mi confida di non aver fatto solo “un bel viaggio” ma di aver vissuto una settimana di “esercizi spirituali”.
Questo dipende dallo scopo che il turista si prefigge: se si viaggia solo per visitare è una cosa, ma se si viaggia per visitare e si prende tempo per riflettere, magari dedicando del tempo alla lettura approfondita di alcuni brani del Vangelo, è come partecipare a “catechesi intensiva”, una full immersion per persone che partecipano talvolta alla messa domenicale e non si sono mai dedicate a una vera formazione cristiana.
Questa è la differenza. Moltissime agenzie sono in grado di offrire viaggi comodi in Terra Santa o nei luoghi biblici ma non sono attente al tema spirituale: l’obiettivo della Chiesa è, invece, quello di condividere e annunciare Gesù Cristo attraverso la forma del pellegrinaggio.
Davvero un impatto straordinario. Ma hai notato cambiamenti nello stile di vita delle persone?
Assolutamente sì. È vero, c’è chi continua a vivere la sua routine di sempre, limitandosi a dire che “il viaggio è stato bello”. Tuttavia, ci sono pellegrini che ritrovano un certo slancio nel loro percorso di fede, o almeno, si sentono particolarmente arricchiti nella consapevolezza della propria fede rispetto a prima. Alcuni programmano altri pellegrinaggi, partecipano a conferenze o leggono qualche libro. Il pellegrinaggio agisce come un catalizzatore, marcando l’inizio di un nuovo percorso.
Hai illustrato il mondo dei pellegrinaggi. E per quanto riguarda l’aspetto istituzionale?
Mi sento chiaramente ancora inesperto nell’ambito istituzionale… la parola “direttore” mi imbarazza un po’. È vero, l’Ufficio che dirigo rappresenta sia il vescovo che la Curia diocesana: non è una cosa mia e basta. Non opera isolato ma è in sinergia con la pastorale del vescovo e della Chiesa di Bergamo. Quindi, è evidente che una delle mie responsabilità sarà quella di fungere da mediatore e mantenere legami stretti con i diversi ambiti, con l’obiettivo di far percepire la presenza, il pensiero e l’operato del vescovo, della Diocesi, degli altri Uffici diocesani.
Sarà necessario lavorare come in un team, specialmente nelle esperienze che coinvolgono diverse aree della pastorale. Tra un anno, nel 2025, ci sarà il Giubileo. Sarà un anno caratterizzato da molti viaggi, da Roma alla Terra Santa e altre mète definite. Tuttavia, è evidente che l’organizzazione del Giubileo non riguarda solo il mio ufficio. Saranno coinvolti anche altri Uffici e il lavoro d’insieme sarà certamente prioritario, per testimoniare possibilmente una Chiesa un po’ più sinodale rispetto al passato.
Quante volte sei stato in Terra Santa e qual è stata la reazione più curiosa di qualche pellegrino?
Ad oggi, sono stato in Terra Santa 22 volte. La Terra Santa è stata, è, e continuerà ad essere un laboratorio della fede in grado di alimentare seriamente l’esperienza religiosa di ciascuno.
Una delle cose che mi colpisce particolarmente è la reazione dei pellegrini più anziani, persone di 80/85 anni, con un un’intera vita sulle spalle. Nonostante la loro appartenenza religiosa e la formazione cristiana ricevuta, spesso la Terra Santa li coglie impreparati e li spiazza. Si riappropriano dei contenuti della fede in modo completamente nuovo e si svuotano di certi pregiudizi.
La reazione delle persone alla Terra Santa varia a seconda delle proprie sensibilità. Alcuni apprezzano i santuari, altri l’ambiente circostante, mentre altri ancora si concentrano sulla realtà politica-sociale del luogo. La Terra Santa racchiude una vasta gamma di elementi che risuonano per ciascuno in modo diverso. Personalmente, cerco sempre di mantenere un approccio ampio, toccando diverse discipline. Molti pellegrini amano ascoltare il vangelo e sentirne la spiegazione. Il cambiamento lo avvertono quando, tornati a casa, ascoltano il vangelo della domenica in modo diverso.
In un’immagine come definiresti “il pellegrinaggio in Terra Santa”?
La Terra Santa è la “culla della fede”. Questa immagine richiama per me sia l’origine della civiltà sia quella dei grandi monoteismi: l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam. Il concetto di “culla” suggerisce un ritorno alle radici, come un figlio che desidera conoscere la storia della propria famiglia.
Un’altra immagine più nobile la riprendo da un autore francese dell’800, un certo Ernst Renan, pellegrino e autore di una famosa biografia di Gesù: «La Terra Santa è come un Quinto Vangelo», in cui tra i protagonisti ci sei tu, completamente immerso in quella terra, letteralmente sui passi di Gesù.
Per un cristiano la Terra Santa è il “pellegrinaggio dei pellegrinaggi”, senza dubbio.
Cosa porti con te da questa “parentesi” di Seriate?
Beh, anche se cinque anni potrebbero sembrare pochi, la prima cosa che voglio sottolineare è questa: Seriate non è stata una “parentesi” nella mia vita sacerdotale. Ho vissuto questi anni in maniera intensa incontrando molte persone e molte realtà. Non dimentichiamo l’esperienza della pandemia. Ma non solo. Il cambiamento culturale è veramente veloce e lo si vede di anno in anno, soprattutto da parte delle nuove generazioni di genitori e figli. Riporto questo esempio: quando sono arrivato a Paderno ho veramente sentito la mancanza dei ragazzi (ancora prima della pandemia) oltre il tempo della catechesi. Quindi, durante il primo anno e poi con l’arrivo della pandemia, ho vissuto un certo disagio a causa di questa assenza quasi costante. Mentre molti ragazzi continuavano a frequentare l’Oratorio (grazie alla presenza e al lavoro sia di Don Marco prima che di Don Fabiano poi), qui a Paderno sembrava che la presenza dei ragazzi e delle famiglie fosse praticamente azzerata. Tuttavia, dopo la pandemia, pian piano i ragazzi si sono avvicinati, specialmente quelli delle scuole medie, e hanno cominciato a riappropriarsi del centro pastorale come un luogo di incontro, una sorta di “nuovo cortile”. Non è stato così semplice ma hanno iniziato a interagire tra loro e ad affezionarsi alla mia figura. Forse l’uscire di casa dopo la pandemia, il bisogno di trovarsi all’aperto con altri coetanei e la riscoperta di un luogo curato e spazioso ha generato una miscela positiva… Ho semplicemente imparato ad osservarli, a salutarli, a conoscerli in diversi momenti, a farli sentire a casa. Qualche volta li ho anche sgridati. Tante volte li ho abbracciati. Qui hanno sentito di poter trovarsi liberamente senza “dover venire”, senza programmare altre attività oltre alle tante che hanno già, per stare semplicemente insieme, per giocare a calcio o a pallavolo, e sì – devo dirlo – anche per fare qualche marachella. Tutto questo ha innescato dei processi interessanti.
Quali sono stati i risultati?
A mio avviso, il risultato più positivo è stato il coinvolgimento dei genitori di una classe di ragazzi. Sapevano che i loro figli apprezzavano trascorrere del tempo qui a Paderno, quindi li hanno gradualmente incoraggiati a partecipare, in modo naturale ma deciso. Hanno dedicato parte del loro tempo per riaprire il bar di sera, raccogliere i ragazzi e organizzare delle pizzate… Questo ha creato un contesto in cui i genitori si sono riuniti, si sono ritrovati, e questo ha davvero dato una spinta in più. Quest’estate abbiamo chiuso solo due settimane, per tirare un po’ il fiato. È stato un periodo intenso, non solo per il buon clima ma anche perché abbiamo avuto circa un centinaio di ragazzi delle medie e delle superiori ogni sera. La realizzazione del nuovo campo di pallavolo, all’inizio dell’estate, è avvenuta grazie alla loro costanza. Sono consapevole che siamo ancora solo all’inizio ma sono contento di lasciare una buona eredità.
Per quanto riguarda la comunità di Seriate in generale ho sempre sperimentato un’accoglienza positiva. La gente è stata sempre gentile con me. Non ho mai avuto particolari problemi con le persone, nulla che abbia lacerato una relazione. Ho cercato costantemente di mantenere un equilibrio in tutto, rimanendo me stesso. Il tempo sarà giudice… Quindi, continuando a rispettare il contributo preziosissimo dei volontari storici e cercando di coinvolgere nuove persone, sono certo che la comunità di Seriate avrà buone chances di crescita.
Come è stata la tua esperienza con gli altri preti?
C’è stata una buona collaborazione tra noi preti. L’atmosfera tra il parroco e noi giovani sacerdoti è stata positiva. Ci siamo aiutati a vicenda, nonostante i nostri diversi caratteri. Questo fa davvero la differenza. Paderno ha le sue peculiarità ma è ben inserita in un contesto più ampio di Seriate, e il dialogo tra noi sacerdoti ci ha consentito di affrontare insieme tante difficoltà. Credo che anche da lontano questa amicizia rimarrà.
Tra le esperienze che ti hanno affascinato in questi anni, c’è qualcosa che ricordi in particolare?
Di tante cose belle, certamente l’esperienza nel Centro di Primo Ascolto di Seriate. Non avevo esperienza in precedenza e quando mi fu assegnato ero stato un po’ riluttante a causa di altri impegni. Poi ho deciso di buttarmi e di conoscere il mondo della carità a Seriate. Sono stati cinque anni molto gratificanti. Il Centro di Primo Ascolto è un luogo davvero stimolante, ben organizzato e ricco di persone davvero in gamba. Tra le tante cose, abbiamo affrontato due sfide difficili, la pandemia e l’emergenza in Ucraina, promuovendo un “laboratorio di solidarietà” – nel senso più nobile del termine – all’interno della nostra comunità. Ho conosciuto persone competenti e responsabili, laici impegnati e contenti di vivere in prima persona la carità cristiana. Questa esperienza è stata una sorta di scuola per me. Spero di fare tesoro di ciò che ho visto e imparato da loro in questi anni.
In quale luogo della Terra Santa ti piacerebbe immaginare di incontrare il tuo “successore”?
Simbolicamente parlando, mi piacerebbe vederlo sulle sponde del lago di Galilea. Cinque anni fa, avrei detto il “Deserto di Giuda” perchè avvertivo l’atmosfera del deserto, pur consapevole che esso contiene vita.
Credo che ora non ci troviamo più in quel deserto, piuttosto nella regione della Galilea. Questo luogo rappresenta l’inizio del viaggio di Cristo immerso tra la gente comune, con storie e provenienze diverse. Questa immagine non riguarda solo Seriate ma l’intera Chiesa: ormai la vita del prete si intreccia con le dinamiche del mondo attuale, in un clima in cui si avverte sempre di meno il tema strettamente religioso e un crescente desiderio di trovare un senso alla vita. Immagino Gesù che, come allora, sta guardando la barca dei discepoli dalla riva del lago in balìa delle onde. Occorre davvero incontrare le persone laddove vivono e incoraggiarle più che mai.
In questi anni ho celebrato circa trecento funerali, significa aver incontrato nel momento del lutto trecento famiglie: quante storie di fede, di vita, quante ferite profonde e scelte davvero coraggiose… Inoltre, ho trovato preziosa l’opportunità di visitare le giovani coppie in occasione del battesimo dei loro figli. Spesso questi genitori non sono frequentatori abituali della comunità parrocchiale e non conoscono la realtà della Chiesa. È stato un primo approccio, anche solo per fare un po’ di amicizia, per sentirsi accolti. Ad ascoltare non si sbaglia mai.
Emozioni che attraversano il cuore?
Non mi è facile andarmene ora anche se sono entusiasta della prospettiva di questo nuovo lavoro. Lasciare Seriate dopo soli cinque anni mi pesa tantissimo. Sarebbe stato questo il momento cruciale per sviluppare nuove idee, costruire relazioni significative, dare un’impronta più significativa a livello pastorale. Ad esempio, mi dispiace non poter vedere i ragazzi crescere. Li ho accompagnati alla Prima Comunione, ora li vedo in seconda, terza media: mi sarebbe piaciuto tanto accompagnarli negli anni dell’adolescenza.
Un senso di profonda gratitudine voglio dedicarla alle persone adulte, ai volontari di Paderno, che mi sono stati vicini e mi hanno dato tanto: sono stati un po’ come la mia famiglia, non posso negarlo.
Credo che Seriate tornerà ad essere una fucina di iniziative. Ha ancora tante persone generose. Mi auguro che le persone che ho incontrato abbiano percepito il mio avergli voluto bene, di essere stato una persona sincera e appassionata al Signore, nonostante i miei limiti. Sarebbe per me la cosa più gratificante.
Conta l’indole, il carattere?
L’indole e il carattere giocano un ruolo fondamentale, anche se non dicono tutto di una persona. Oggi basta una risposta sgarbata o una piccola incomprensione per allontanare qualcuno, anche se magari hai tutte le ragioni di questo mondo. Per esempio, vedo con i ragazzi quanta è necessaria la pazienza: ci sono giorni in cui sono tranquilli e cooperativi, altri giorni in cui sembrano completamente fuori controllo e mancano di rispetto. In questi momenti, è necessario ricominciare da zero, non smettere di volergli bene, ragionare sulle cose che capitano. Oltre a un buon carattere, bisogna essere sempre motivati, “stare sul pezzo” con loro – come si dice.
Come in una cartolina d’altri tempi… due parole di saluto ai Seriatesi.
Innanzitutto, auguro a tutti di vivere la vita come un autentico pellegrinaggio. La vita è un cammino ricco di esperienze e scoperte: che possiate cogliere la bellezza intorno a voi, ascoltare con attenzione ciò che arricchisce umanamente e compiere azioni buone tra di voi. Cercate di amare sempre questa comunità e di voler bene ai sacerdoti nonostante i loro tanti limiti. Ve lo assicuro: Seriate ha la forza di rimanere nel cuore, per sempre.