La difficile arte del riposo

Pubblichiamo l’intervista completa a Stefania Roncalli,
pubblicata sulla Voce di Seriate di Marzo 2022

«E … si riposò» (Gn 2,2). Difficile arte quella del far niente, ma altrettanto preziosa, visto che nell’antico e nuovo testamento è citata circa 180 volte. Difficile arte quando è troppa: pensiamo storicamente all’accidia del monaco medievale, alla malinconia del dandy francese o di Leopardi, alla noia del russo Oblomov, all’angoscia esistenzialista di Sartre, al vuoto nella mente del depresso dei nostri tempi, ai giovani hikikomori o Neet ricurvi su di un cellulare, Web-Tv, bibite e patatine. Diciamo che è difficile anche quando manca quest’arte, quando «non trovano riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia» (Ap 14, 11). Ma dove si trova l’equilibrio? Come si ammazza il tempo quando si è soli: con la temperanza, con il silenzio? Perché quando si va in vacanza, si rientra più stressati di prima? Chi si ricorda l’ultima volta del proprio dolce “far niente”? La mente è piena di domande, di pensieri … ed è necessario disintossicasi da questa montagna di cose. Ci vuole tempo, fatica e un incontro. Lo chiediamo a Stefania Roncalli, psicologa clinica e psicoterapeuta di Seriate.

Perché stare da soli è una tortura insopportabile?

Stare soli può essere una tortura insopportabile. Ma è anche vero che colui che riesce a stare bene nella solitudine ha molto probabilmente raggiunto un equilibrio personale perfetto, uno stato interiore pacifico e sereno, tanto da stare bene e sentirsi bene quando è solo. Solo con se stesso. Solo nel silenzio dei pensieri che vivono nella condivisione con se stesso.

Sto bene con me stesso, nella solitudine dell’ascolto interiore, dello sguardo sul mio Io e verso il mio Sè, della relazione intrapersonale, ma subito dopo avverto quel sano bisogno di mettermi in relazione con gli altri.

Non sono un’isola;

pertanto cerco l’interazione, esco e vado ad incontrare l’altro, sulla mia strada, creo e nutro quelle che chiamiamo “relazioni interpersonali”.

Dunque, quando la solitudine diventa una tortura insopportabile?

Sicuramente quando il rapporto con la parte più intima di me stesso non è buono, è guastato da qualcosa che disturba o sono in corso dinamiche interiori che fanno male, per cui c’è assenza di serenità, c’è tensione, preoccupazione e manca la pace interiore. Allora è tortura, nel senso di tormento, pulsare di bisogni, assenza di sostegno, smarrimento.

Vuoto interiore.

Oggi viviamo con tante distrazioni. Pascal diceva che i mali dell’uomo «derivano da una sola cosa, dal non saper stare senza far nulla in una stanza». Cosa intendeva dire e come si addestra la mente all’antica arte di vivere, alla sapienza, alla contemplazione e alla felicità (eudaimonia = la condizione propria di Dio)?

Eudaimonia è la condizione propria di Dio. Dunque è la condizione ideale, perfetta. Non ci sono grinze. E’ giusto ambire al raggiungimento personale di una condizione che appartiene unicamente a Dio. Ciascun uomo va alla ricerca della condizione di felicità e di benessere interiore.

Avere come riferimento Dio, significa avere uno sguardo rivolto verso il Cielo; significa riconoscere che da Dio deriva tutto ciò che è bene e tutto ciò che è creatura, dunque vita.

Addestrare la mente all’antica arte di vivere, dunque allenare la propria capacità di concentrazione e di contemplazione vuol dire non lasciarsi inglobare dalle distrazioni del mondo ma avere bene in mente il bisogno ed il desiderio di condurre la propria vita secondo l’arte del vivere, dunque con stile, dandole valore, rendendola speciale, considerandola un capolavoro tutto da realizzare.

Un capolavoro unico, perché riguarda ciascuno di noi in maniera distinta.

Allora può esserci possibile fare un lavoro di allenamento costante e quotidiano per esercitare le capacità naturali di ognuno di concentrazione e di contemplazione.

Alla fine è davvero questione di sguardo, attento e dedicato a tutto ciò che proviene dal divino, che fa parte della natura, che riconosciamo come dono di Dio.

Si può attribuire poco peso alle distrazioni in alcuni momenti della giornata, riconoscendo che proprio quei momenti ci servono per allentare tensioni, alleggerire i pensieri, passare il tempo in relax;

Queste fette di tempo che individuiamo come preziose ed arricchenti, è necessario abbandonarsi allo spirito che invita la mente a cercare e contemplare il Bello della Vita.

In questo tempo individualmente ricercato, ci investiamo la preghiera del ringraziamento e del bisogno, l’emotività di una coscienza che parla, magari soffre, perdona o chiede perdono.

In questo tempo contenitore ci inseriamo i perché della vita, la ricerca di spiegazioni, i dubbi senza risposta, che ci fanno sentire in tutta la fragilità che caratterizza ogni essere umano.

 

Per lo psicologo A. Maslow la contemplazione non è opposta allazione, ma è la sua espressione più alta, la creatività, momenti di peak-experiences. Non possiamo fermare il tempo, ma come possiamo percepire la bellezza e la gioia profonda di fermarci?

Certamente possiamo percepire la bellezza e la gioia profonda del fermarci, ogni tanto, mentre si stanno realizzando cose ed obiettivi.

Mi fermo e contemplo. Scopro che contemplando apprezzo il frutto del mio lavoro. Nutro il mio bisogno di soddisfazione e realizzazione, quindi arrivo a percepire la bellezza di ciò che creo e la gioia della consapevolezza dell’essere stato capace di creare.

Penso. Agisco. Mi riposo. Contemplo. Dico grazie. Gioisco.

E’ un ottimo processo che può farci sentire molto felici ed offrire il senso di pienezza alla nostra vita.

 

Per Simone Weil l’attenzione è come la preghiera dove la volontà conta meno dell’accedere al profondo di sé con l’esercizio. Qualcosa di simile lo scopre nel 2001 il neurologo Marcus Raichie con il default mode network, un esercizio della mente che avviene solo quando non facciamo niente. Ma quando si è a riposo, in silenzio e con se stessi non subentra la noia e l’ansia?

Bisogna davvero allenare la nostra mente ad accogliere anche i momenti di noia. Può succedere infatti che ci sia bisogno di “annoiarsi” un po’, di sospendere i tanti impegni e lasciarsi andare in pause di “nulla”, senza svolgere attività, senza sentirsi in dovere di “fare qualcosa”, senza arrivare a percepirsi persone che stanno perdendo il tempo.

Dunque la noia “sana” è da prendere in considerazione, perché ci aiuta ad andare incontro al bisogno di stare un po’ con noi stessi, di posizionarci in modalità “silenzioso” e stare in ascolto attraverso tecniche quali la meditazione, la preghiera e la contemplazione.

Ci servono i momenti di noia per riflettere ed intuire se necessario regolare qualcosa della nostra vita, del nostro comportamento o modo di essere.

L’ansia subentra quando non ci concediamo quanto sopra. Conduciamo una vita di soli impegni e attività, di scadenze e di pianificazione dei tempi, senza appunto riuscire a dedicarci spazi di “noia”.

L’ansia va gestita. Va dominata. Ciascuno di noi lo può fare decidendo di mettere ogni tanto a riposo l’attenzione. Questo significa liberare la mente, far riposare il corpo, alleggerire i pensieri.

Ognuno conosce quelle che sono le modalità preferite o di cui ha bisogno; per esempio alcune persone praticano sport, vanno a camminare, fanno un giro in bicicletta, nuotano. Questo tipo di movimento favorisce lo scaricare di tensioni psico-fisiche accumulate nel tempo arrivando a gestire gli stati d’ansia.

Praticare sport produce endorfine che agevolano la gestione dell’ansia.

Altre persone al contrario prediligono contrastare la frenesia degli impegni quotidiani con lo svolgimento di attività passive o lente, come la lettura, l’ascolto della musica, suonare uno strumento, oppure guardare un film.

Si può gestire l’ansia anche mediante la relazione, dunque incontrando una persona amica, un familiare, trascorrendo del tempo piacevole insieme, chiacchierando.

Credo che la cosa importante da tenere in mente è che ci sia sempre la volontà di investire sul proprio tempo, con l’idea di realizzare qualcosa di buono o di bello, per arrivare alla fine della giornata con la sensazione piacevole di pienezza, che riempie il cuore e gratifica la mente.

Questo significa saper spezzettare il tempo della giornata in tanti piccoli spazietti di qualità dedicati a cose diverse che riguardano le dimensioni della vita (familiare, lavorativa, sociale e personale).

Noia e Ansia ci servono per misurarci rispetto a come ci stiamo muovendo lungo il percorso del vivere, per capire cosa eventualmente occorre regolare o modificare perché ci sia equilibrio personale e non si verifichino picchi di eccesso che possono stravolgere o scompensare.

 

 L’esercizio alle percezioni dei sensi e alla percezione spirituale è diminuita nel tempo e ha preso il suo posto il pensare e il fare. È come se si volesse fuggire il presente, dice F. Jaclis. Quali possono essere le conseguenze psicologiche?

Il presente è la capacità di vivere appieno il qui e ora. Nel presente agiamo, operiamo, realizziamo. Nel presente si verificano gli eventi, alcuni dei quali li stiamo vivendo in prima persona.

Nel qui e ora ci viene offerta la possibilità di “sentire” ciò che si sta sperimentando attraverso l’esperienza in corso. I nostri organi di senso ci permettono di “sentire”, vedere, toccare, annusare, gustare, cosa sta succedendo e valutare.

Ne derivano le emozioni. Dal qui e ora nascono i bisogni, si definiscono i desideri e le aspettative.

Fuggire dal presente è molto rischioso perché significherebbe non vivere il momento in corso e proiettarsi verso un futuro che ancora non si conosce e che spesso comporta progettazione e pianificazione.

Se non vivo il presente, rischio di imbattermi in stati d’ansia conseguenza del precoce proiettarsi verso il futuro che non si conosce e può far paura. Serve il presente per capire come e cosa pianificare per il futuro.

Può anche succedere esattamente il contrario, ovvero dedicarsi eccessivamente al passato fatto di ricordi, rimpianti o rimorsi.

Se non vivo il presente, rischio di imbattermi in questo caso in stati depressivi, legati alla tristezza di ricordi passati, alla malinconia di eventi trascorsi o alla frustrazione dei sogni non realizzati o dei rimorsi che mordono e rancori che incupiscono.

Il presente è da vivere bene e se possibile gustare. E’ da seguire attimo dopo attimo proprio mentre si sta svolgendo.

I momenti di riposo sono fondamentali perché è come se ci consentissero di far emergere per bene il nostro sé, creando quel silenzio e quella tranquillità che richiamano la nostra attenzione allo spirito che vive dentro di noi e che silenziosamente ci consiglia e guida.

 

Come immagini la vita eterna (cioè la contemplazione ininterrotta di Dio) da psicologa?

Da psicologa immagino la vita eterna come un percorso che non si interrompe mai. Penso a come ogni essere umano non smette mai di crescere ed evolvere durante tutta la sua esistenza.

Non smettere mai di “andare avanti”. Passo dopo passo.

La vita cambia.

Si e ci trasforma.

L’uomo diventa sempre più grande in termini di esperienze, conoscenze, relazioni.

Per chi ha fede, questo processo che dura tutta la vita terrena, ovvero l’esistenza in corso, continuerà senza interruzione anche dopo la morte.

Immagino la vita eterna come un incontro con Dio preparato durante l’attesa lungo il cammino della vita terrena;

un incontro che sarà la realizzazione di quanto sperato mediante le fede, creduto attraverso l’ascolto della Parola e la maturazione dello Spirito Santo che è dentro di noi, alimentato dalla formazione del Vangelo e nella condivisione comunitaria e fraterna.

Dunque la vita eterna è la possibilità della continuità che non dà origine al senso di abbandono, che non fa sentire morto/cessato/chiuso qualcosa che non c’è più, ma che è opportunità di salvezza dentro un abbraccio paterno di amore immenso e senza fine.

L’abbraccio di Dio, il nostro Padre eterno.

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