Una delle preoccupazioni che spesso al mio paese, ma credo in tutti i nostri paesi, avevano i nostri nonni, gli anziani, i saggi, era quella di avere qualcosa da parte in banca per fare un bel funerale, e per non “pesare” a nessuno in quel momento doloroso e faticoso per chi resta qui.
Una preoccupazione materiale, economica, ma non solo: sapere che qualcuno in quel momento si prenderà cura di te, come ha fatto durante tutta la tua vita, che avrà un pensiero di riguardo, un gesto di affetto, spenderà tempo ed energie per salutarti nel migliore dei modi possibili. Sapere che in quel momento di taglio, di distacco, chi resta potrà avere abbracci, sorrisi, lacrime; potrà ascoltare i racconti dei gesti buoni e generosi di chi ci ha lasciato; avrà il tempo e lo spazio per condividere parole, domande, affetto, ricordi e nostalgie.
Ma tutto questo, forse un’altra delle cose che davamo per scontate, questo maledetto virus se l’è portato via.
Già, perché chi muore lo fa da solo, magari cullato e coccolato da un’infermiera o un medico che gli sta vicino al di là del ruolo che sta svolgendo in quel momento, e per i quali non finiremo mai di dire grazie; ma è solo, lontano dai famigliari, dai parenti, dai suoi cari.
Perchè chi resta vede uscire di casa il proprio caro in ambulanza, e se non riesce a sconfiggere la malattia non lo può più rivedere; i funerali sono sospesi, come tutte le celebrazioni, ci si trova direttamente al cimitero, per chi sceglie la sepoltura, o si aspetta la partenza per la cremazione, e poi il ritorno delle ceneri per la tumulazione.
Si aspetta, ma quanto? Ma dove?
È qui che entra in gioco la nostra chiesa di San Giuseppe. Sì, perché ad un certo punto della guerra contro il virus tanti, troppi erano i caduti. Talmente tanti che non bastavano più le camere mortuarie, la case del commiato, le cappelle degli ospedali, perfino il cimitero di Bergamo era ormai saturo.
E allora, perchè non aprire una chiesa? Perchè non la nostra Chiesa di San Giuseppe?
Perchè non qui da noi, a Seriate.
Detto, fatto, dopo una settimana di silenzio, Domenica 22 Marzo arriva la comunicazione : allestite tutto, perchè domani si parte con l’accoglienza: primo giorno, 30 arrivi, poi altri 20, e ancora 20, è una processione senza fine, un peregrinare di anime belle che accogliamo tra le braccia di San Giuseppe, perché come un papà amorevole si prenda cura di loro, ora che i loro cari non possono farlo più.
Durante tutto questo periodo (mentre scrivo, 14 aprile 2020, siamo ancora aperti, l’afflusso continua), nelle prime tre settimane, sono passate dalla chiesa 231 fratelli e sorelle. Tanti, troppi per trattenere una lacrima, e tornare a casa con un groppo in gola che solo la preghiera può sciogliere. Vedo anche tanti giornalisti, che vengono a chiedere, fotografare, informarsi: alla vista di tutto ciò, dopo aver chiesto e fotografato, si mettono in un angolo della chiesa, o fuori, all’aperto, e scoppiano a piangere.
Sarà difficile dimenticare queste immagini, quando torneremo a celebrare nella nostra chiesa di zona; rivedere i banchi rimessi al loro posto, con gli amici seduti per la preghiera, sarà bello, emozionante: ma sono sicuro che accanto a loro continuerò a vedere i nomi e i cognomi di tutti quei fratelli e sorelle che in questi giorni stanno riposando tra le mura delle nostra chiesa.
Sarà doloroso, ma anche bello, perché sapremo di aver messo in pratica quella pietà che è propria del Vangelo, quel rispetto per i nostri morti, quella cura per le persone che ci lasciano e che già ora vivono nella Luce del Risorto che abbiamo celebrato solo qualche notte fa. E forse, spero, ce ne ricorderemo, quando, passato tutto, potremo tornare a salutare i nostri cari che partono, che vanno avanti, come dicono i nostri alpini: forse questa situazione ci ricorderà che la morte non va messa da parte, non va nascosta come fosse un tabù di cui non parlare; e che salutare i nostri cari con dignità, dando loro il tempo di lasciarci non è solo un gesto di pietà, e una delle opere di misericordia corporale del nostro catechismo, ma anche espressione di una fede che crede nella morte come Pasqua, come passaggio, trasformazione di questa vita mortale in eternità, soffio eterno di Dio dal quale veniamo e nelle cui braccia torneremo.
Ogni giorno si sentono numeri, dati, statistiche: contagiati, guariti, defunti… numeri che sappiamo non rispondono alla realtà. Per me quei numeri sono nomi e cognomi, fiori appoggiati su loro corpo, ulivi deposti su di loro nella domenica delle palme, lumini accesi il giorno di pasqua ai loro piedi. Sono volti e ricordi nei cuori di coloro a cui sono stati strappati, sono miei fratelli e mie sorelle, che vogliamo affidare al perdono e alla pace di Dio Padre, perché faccia splendere si di essi la Luce Perpetua.
Amen.
Grazie Don Marcello x le tue parole com le quali traduci i sentimenti della tua gente. Grazie per come coinvolgi la comunità nel saluto ai nostri cari, grazie per le campane a festa che accompagnano il corteo dei militari ogni volta. Insomma grazie di essere il nostro Don .
Grazie Don Marcello… Di cuore
Grazie per tutta l’umanità che traspare da questa pagina;
Grazie per avere saputo esprimere i sentimenti di commozione;
Grazie per tutte le volte hai alzato il tuo braccio per benedire le salme allineate l’una dopo l’altra;
Grazie perchè ogni volta hai potuto confortare un familiare;
Grazie grazie proprio per tutto, e che tutti questi fratelli possano godere dell’abbracio divino e riposino in pace.
Grazie per la grande testimonianza di carità cristiana. Come non piangere di fronte a tanto dolore? Il Signore vi sostenga e vi dia la forza di continuare la vostra opera.