L’effetto di realtà del Gesù degli Ado

Ci sono storie che vengono raccontate perché l’incontro si compia. Allora si combinano emozione, immaginazione, amicizie, affetto, fede, silenzi … e ci cambiano lo sguardo. Ma cosa succede quando l’oggetto della nostra attenzione è Gesù? Fossimo discepoli o folle, farisei o scribi, Battista o Erode, nazareni o di Cafarnao, bergamaschi o altro … tutti, anche in clima di incertezze, vogliamo sapere chi è.

I 9 diciottenni della cosiddetta Professione di Fede mi hanno mostrato una gioia matta di essersi ritrovati a viaggiare dalle stanze dell’Oratorio fino ai confini dello stupore e fare di tutto per “toccare l’ospite”, proprio quello del Vangelo, come se avessero voluto rivivere uno dei momenti centrali descritto da Luca (7,36-50) sull’intrusa senza nome, o in casa di Marta e Maria (10,38), per indagare l’immagine viva, inattesa e reale di Gesù con pochi ma efficaci elementi narrativi. Parafrasando Shūsaku Endō in Vita di Gesù ci chiediamo: Quali segreti si celavano ai loro occhi?

Lo domandiamo ai 18enni di oggi e di ieri che hanno vissuto l’esperienza della Professione di Fede.

COSA RAPPRESENTA PER VOI LA PROFESSIONE DI FEDE?

Alessia Eboli (2014)*:«È entrata in un periodo della vita in cui stavo cercando delle risposte per le quali ero disposta ad “accogliere” argomenti difficili come può essere quello su Gesù. Si veniva presi in giro per il fatto di andare a catechismo ed era più facile cercare da altre parti, ma ho voluto sperimentarmi in questo. Il mio cercare era senza filtri, senza giudizio e ci era stata data la possibilità di esprimere liberamente sia ciò in cui credevamo che ciò in cui dubitavamo. Essendoci più dubbi che certezze ancora oggi c’è il bisogno di guardarsi dentro. Come allora cerco un senso più profondo e uno stile di vita rinnovato».

Nicola Luzzana (2018):«È un altro passo importante della mia vita e per la mia crescita. Indica la continuazione di un percorso che è iniziato con il catechismo dalle elementari e che sto portando avanti facendo il catechista ai ragazzi di terza e quarta superiore».

Luca De Filippo (P. di Fede nel 2018):«Ho scoperto solo due anni dopo averla fatta che la professione di fede non si faceva in molte parrocchie e se ne parlava sempre di meno in molti gruppi Ado, a Seriate ormai lo si vede come un passaggio, la fine di un percorso, quello adolescenti e la promessa di continuare il cammino iniziato anche senza il ritrovarsi tutti i sabati sera in gruppo. Per me è stato proprio il continuare a vivere nella comunità con quello che amavo e amo fare, prendendo le misure sapendo che questa volta dovevo essere io lì per gli altri come prima lo erano stati i miei catechisti per me».

Nicolò Di Marco (2022):«Con la fede ho un rapporto travagliato quando mi appare il più delle volte superficiale come se vivessi da ateo. Ho fatto la professione di fede perché non volevo che la mia vita fosse morta, non nel senso che chi non crede abbia una vita morta, però mi è nata la consapevolezza che senza questa fede farei le cose senza darci un senso. È proprio questo che rende la professione di fede autentica. Considero Gesù un amico. Il suo volto è di misericordia; non ti giudica , ti capisce e ti consiglia.

Giorgio Troesi (2022):«Io credo che Gesù sia in ognuno di noi e in mezzo a noi. Sta nell’abbraccio tra me e un amico; tra me e la mia ragazza; nelle nostre gioie come nelle nostre litigate. Questa è la fede e sono convinto di questo. Non dico che Gesù non ci condizioni, ma vive e resta sempre con noi.

COME CI SIETE ARRIVATI E QUALI LE EMOZIONI PROVATE?

Alessia E. :«Principalmente è stata un’amicizia con la quale ho ricominciato a frequentare la Messa che avevo interrotto e poi facendo il percorso degli adolescenti cercando insieme delle risposte. Non essere sola, sicuramente ha aiutato. Don Marco, a quei tempi, ci ha dato delle dritte e ci ha aiutati nel fare questo percorso per arrivare a Gesù, o a quantomeno a chiederci dove fosse, chi fosse e cosa volesse da noi. Anche i nostri catechisti sono sempre stati al nostro fianco puntando in alto con incontri quasi teologici e con l’amicizia. Così la P. di Fede che sembrava la fine, in realtà si è rivelata l’inizio di un percorso.

È stato un rito particolare, intenso, molto bello, significativo e profondo nell’offrire al Signore tutto quello che c’era nel cuore e nella mente. Lo ricordo con un sorriso, gioia e serenità ».

Nicola L. :«Ci siamo arrivati attraverso un lungo percorso fatto di incontri, con momenti di riflessione organizzati dai nostri catechisti. Li ritengo molto importanti perché hanno suscitato quei dubbi e domande che ci accompagnano nei momenti delle scelte. Inizialmente le emozioni che ho provato erano di insicurezza sulla scelta da compiere e sulla fede stessa. In questi incontri ci hanno aiutato a discernere sulle varie questioni, sulla ragionevolezza della fede e del gesto comunitario della professione di fede. Dopo il rito ho provato emozioni di gioia e felicità».

 Luca DF. :«Tra Covid e università i ricordi si sono un po’ sbiaditi, ricordo l’atmosfera che si creava nel gruppo di quelli che l’hanno fatta con me, tra cui Nicola. Era bello essere insieme, forse i primi anni prima di arrivare alla professione anche in maniera inconsapevole… Prima della professione siamo riusciti a toccare in profondità argomenti e domande che se non fossi stato con loro e guidato da don Marco e dalla mitica Maria probabilmente non mi sarei manco posto, e penso che senza pormi quelle domande mi mancherebbero decisamente più pezzi di quelli che già sto cercando».

Samuele Cappuccio (2022) :«La figura di Gesù mi attira non tanto per come viene descritta nel Nuovo Testamento ma perché assume un significato profondo. Ci potranno essere periodi difficili come quello passato della pandemia o qualunque altro evento che ci hanno fatto perdere la speranza, ma ciò ci fa dire che la fede non è rigida. Così come esistono nella realtà fenomeni che ci parlano di determinismo e di cause razionali, nello stesso modo potremmo immaginare l’esistenza di qualcosa di cui potremmo anche non accorgercene ma che esiste come un sottile velo che percorre le nostre vite e che, se si ascolta, si può percepire».

E LE VOSTRE DOMANDE, ASPETTATIVE E DIFFICOLTÀ?

 Alessia E. :«Di Gesù mi colpisce che c’è. Da sola non avrei fatto il percorso Ado, mi sarei fermata con la Cresima. Nonostante i dubbi aveva senso farlo. Lui mi aspettava. Anche se avevo smesso di andare in Chiesa, quando ho trovato il modo di rientrarci, Lui era lì. Nei miei vent’anni una conversione c’è stata e con la P. di Fede ho lasciato alle spalle l’abitudine cercando di dare un senso alla preghiera, stando in ascolto della risposta».

Nicola L. :«La mia prima domanda verteva su che cosa fosse la professione di fede. Una volta chiarita la definizione durante gli incontri mi sono chiesto se davvero fossi sicuro di volerla fare, se avessi ancora fede e quale avrebbe potuto essere il mio percorso successivo. Tra le difficoltà emergeva la decisione se fare o no questo passo».

Luca DF. :«premettendo che pensando al me a 18/19 anni (come se poi fossi tanto diverso ora) probabilmente mi ponevo meno domande di quelle che mi pongo adesso, il che non è per forza un male, però le aspettative c’erano e molte, col tempo sto solo iniziando a modularle… La professione ha fatto solo da inizio del cammino».

Andrea Barcella (2022) :«Se altri hanno fatto la scelta come l’ho fatta io, lo è stato per continuare un percorso già iniziato alle medie, con amici e conoscerne nuovi. Non ho iniziato il percorso di catechismo con loro, molti li ho incontrati dopo, alcuni li persi e altri li ho recuperati. Però, se c’è un percorso che ti offre la possibilità di continuare, questo ti aiuta a stare più vicino alla Chiesa perché da ragazzi senza il catechismo non è così facile rimanere vicini a Gesù. Invece col catechismo, sia fatta da animato che da animatore, ti permette di vedere le cose in modo diverso e di poterla comprendere al meglio».

Irene Chiodini (2022) :«In realtà sì, parecchi dubbi e più volte. Nelle elementari e medie tutti facevamo catechismo ma dalle superiori vieni a contatto con più persone e diversi orientamenti, anche diverse mie amiche sono per esempio atee e più volte mi chiedono “Perché credi? Che senso ha credere?Cosa ti da quel credere?”. Sinceramente non lo so ancora bene cosa mi da quel credere, ma so che se sono arrivata a fare una professione di fede e a dire “sì, in questa cosa io ci credo” è perché sento che c’è qualcosa, voglio credere in qualcosa che ancora non conosco bene come le mie tasche, non so ancora bene di preciso cos’è, però so di potermi aggrappare, so che posso fare affidamento e che è sempre lì, anche se non ci credo appieno. Sarà un percorso lungo per capire bene.

PROFESSIONE DI FEDE A CHI E COSA HA CAMBIATO DELLA VOSTRA VITA?

Alessia E. :«Più consapevolezza. Cerco di agire nell’ottica della fede e metto davanti al Signore con il sentimento di affidamento in Lui le scelte della vita che così non affronto da sola. “Ospito” Gesù anche nel dubbio, così come nell’ascoltare le risposte o andando a Messa quando un periodo della vita appare tosto. Lo “accolgo”, nel senso di vicinanza anche quando è faticoso capire, perché con pazienza Lui lavora e aiuta a trovare le risposte. Lui non ci abbandona e ospitarLo significa dargli lo spazio anche quando il gioco si fa difficile e la lasciare che se lo prenda per tornare a un dialogo con Lui».

 Nicola L. :«Mi ha fatto capire che posso mettermi in gioco per la società e quale cammino avrei potuto intraprendere dopo. Oggi sono catechista cercando di essere il più disponibile possibile nell’aiutare in Oratorio, come nelle Feste Patronali, durante il CRE e i campeggi estivi ed invernali».

Luca DF :«La professione di fede ha dato il là alla Maria (un saluto) per incastrarmi in quest’esperienza del “prova a fare l’educatore” e all’inizio, insieme a Francesco (altro personaggio che ha fatto la professione di fede con noi) non eravamo per nulla convinti. Dopo tre anni sono ancora qui, per impegni diversi Nicola è subentrato a Francesco ma senza nessuna discussione, gli impegni aumentano per tutti. Fortunatamente, e lo dico perché fa bene alla mia serenità mentale da persona di 22 anni che sta ancora prendendo le misure, mi è rimasta libera quell’ora del sabato sera, in cui io e Nico condividiamo in ogni “puntata” qualcosa coi ragazzi, e loro la condividono con noi. La professione di fede è difficile da spiegare, ma per me credere è anche questo, capire che a volte essere lì per qualcun altro, ascoltare e vivere insieme qualcosa, può fare bene prima di tutto a te stesso».

Chiara Valoti (2022) :«Conta tanto il contesto in cui vivi. Uno può “nascere” ateo, può diventarlo, anche noi siamo stati condizionati fin da piccoli, dato che nessuno di noi si è convertito iniziando a credere dopo. I nostri genitori, la nostra famiglia ha fatto tanto, quindi se devo immedesimarmi in un ateo penso che probabilmente o ha vissuto una esperienza particolare in cui ha perso completamente Dio o si è sentito solo e abbandonato, o per una morte improvvisa o per una preghiera che non ha funzionato oppure, facile, non si è mai posto la domanda e molti oggi non se la  pongono a perché è più faticoso credere che non credere.

Lorenzo Testa (2022) :«Toccare l’ospite … cioè Gesù. Sarei anche disposto ad accogliere, ospitare, cercare l’ospite … ma è la situazione che influenza le nostre scelte. Diverse ideologie ci fanno chiudere questo cono di visibilità verso altre persone e quindi ci indirizzano a pregiudizi su chi ci sta di fronte. Da qui le incomprensioni e le disuguaglianze su chi è tuo prossimo, su Gesù. È la società che influenza ogni singolo individuo indirizzandolo inconsciamente al pregiudizio e offuscando la presenza di Gesù in ogni fratello. Questo è un problema.

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* anno della professione di fede

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