LA FRATERNITA’: Virtù cristiana e strumento di missione

La lettera che il Vescovo consegnerà alla diocesi quest’anno tratterà il tema della fraternità. In questo momento non ci è stata ancora consegnata, ma non credo sia una presunzione parlare di questo tema prima di aver conosciuto il pensiero del Vescovo al riguardo: parlare di fraternità significa parlare di ciò che i cristiani devono vivere; è l’essenza stessa del cristianesimo. Non esiste il cristiano, esistono i cristiani; il singolo dà consistenza alla sua identità di appartenenza a Cristo solo se impegnato a vivere fraternamente all’interno di una comunità.

La fraternità delle nostre comunità parrocchiali, anche nella nostra, è una situazione che diamo spesso per scontata: l’unico elemento che utilizziamo per dire se la parrocchia vive la fraternità o no è il trovarsi insieme a fare delle cose: se siamo in pochi, non lo diciamo, ma lo pensiamo: non siamo comunità, che significa non c’è fraternità, se siamo in tanti ci sentiamo autorizzati a dirci fratelli.
L’esserci può essere importante in riferimento alla dimensione fraterna però non la esaurisce, non costituisce neppure il contenuto.
L’essere insieme a vedere una partita di calcio non è manifestazione fraterna. La fraternità è qualcosa che viene prima dello stare insieme, è il desiderio che abita nel mio cuore di sentirmi in compagnia perché questo rende a me tutto quello che vorrei essere e questa compagnia diviene realizzazione del progetto del Signore che ci vuole popolo, ci vuole chiesa.
Bisogna “imparare” a vivere questa dimensione, questa virtù della fraternità, indispensabile per i cristiani. Imparare come? Nella 1ª lettera di Pietro al cap. 1,22-23 leggiamo: “Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna”
Pietro dice che per amarsi “sincerante” e “intensamente” è necessario”purificare le nostre anime”. Da questo ci accorgiamo che se la “fraternità” richiede una relazione buona con l’altro, prima di tutto il purificarsi esige il recupero di una serena relazione con noi stessi. Devo svuotare il mio cuore da ogni possibile astio, delazione, pregiudizio, scoraggiamento, devo sentirmi libero dentro; solo allora mi sarà possibile la buona relazione con l’altro.
La fraternità è un dono certamente. Nel cap. 17 di Giovanni Gesù la chiede per i suoi: “Padre fa che siano una cosa solo come lo siamo io e te” Ma come ogni dono và meritato. E ancora nella lettera di Pietro che abbiamo citato, l’Apostolo suggerisce il metodo per arrivarci. Dice che bisogna prima di tutto “ubbidire alla verità”. E’ volere per la mia vita di cristiano ciò che vuole Cristo, non ciò che voglio io. E’ una rimozione che dobbiamo fare del “soggettivismo” cristiano. “Io sono cristiano anche se …” Quest’ultima espressione ci scosta dell’oggettività cristiana che richiede tra l’altro la fraternità come elemento essenziale. Poi Pietro suggerisce anche di ricuperare costantemente l’origine comune del nostro essere cristiani che è l’essere stati tutti redenti dalla stessa offerta di Cristo al Padre: “rigenerati, afferma, non da una seme corruttibile, ma incorruttibile”. Ma per vivere con questa coscienza è necessario nutrirci costantemente della “parola” di Dio viva ed eterna”.
Come comunità parrocchiale, sempre, ma in modo particolare quest’anno il vivere insieme da fratelli sia un impegno prioritario.
Oltre a ricuperare le motivazione che in modo sintetico ho cercato di rendere evidenti in questo scritto, facciamo attenzione anche ad alcuni accorgimenti concreti che rientrano ancora nella sfera della “spiritualità”.
Incominciando da noi preti: ricordando S. Agostino, non sentiamoci padroni della gente che il Signore ci ha affidato, ma servitori, Non imponiamoci sempre, cerchiamo relazione con la nostra gente usando pazienza, misericordia, comprensione e dialogando con serenità. Per tutti: ricordiamoci che “l’altro” non ha mai un personalità coincidente con la mia, perciò non posso rompere con lui perché il suo modo di pensare e di agire è diverso dal mio; accettiamo la fatica della convivenza con gli altri anche quando colgo in loro oggettivamente dei limiti, ma chi non li ha?
Ricordiamoci poi che la fraternità è in funzione anche della missione. Gli atti degli Apostoli lo dicono: Tanti si univano ai cristiani perché vedevano che si volevano bene”
E’ così per noi? Credo che dobbiamo camminare ancora molto.

don Gino

Questo articolo è stato pubblicato in PASTORALE da Mons. Luigi Rossoni . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

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