Geppetto e Virgilio:
modelli di padre per i giovani d’oggi

Intervista a Franco Nembrini – insegnante, pedagogista, scrittore e conduttore televisivo – che il 6 aprile scorso al teatro Aurora, su iniziativa dell’associazione «Il Greto onlus», ha intrattenuto il pubblico con liete riflessioni su «Il vento magico di Pinocchio».

Chi è il padre per i giovani oggi?
Quello che è sempre stato: un uomo che prende sul serio la propria vita, il proprio destino, il proprio desiderio di felicità, un uomo che vuole vivere seriamente fino in fondo il suo rapporto col mondo. E per questo è disposto a coinvolgersi con i ragazzi, a prendere sul serio il desiderio loro, ad accompagnarli a verificare come l’ipotesi di risposta che lui ha trovato alle proprie domande possa corrispondere anche alle loro.

Nel declino della paternità che non salva il mondo, chi salva i padri … ovvero: è un “mestiere” impossibile quello del padre?
Lo sarebbe, se fossimo soli. Quel che salva i padri è che hanno – o perlomeno hanno avuto – un padre anche loro, e hanno qualcuno – una madre, possibilmente; degli amici, certamente – con cui ci si sostiene a vicenda.

Rispetto al passato, trova che la figura del padre (quando c’è) si ispiri di più al modello materno di mediazione e quindi orientato non a imporre regole e castighi, ma verso una funzione maieutica del “tirar fuori” il talento dei figli; oppure auspica un ritorno al passato. In sintesi, preferisce un padre che dica “tu devi obbedire” o “tu devi capire”?
È una falsa alternativa. Obbedienza e comprensione non sono in contraddizione: si obbedisce per capire. Poi, le cose cambiano con l’età: con i bambini piccoli l’obbedienza è fuori discussione, si segue l’adulto e basta; man mano i ragazzi crescono la richiesta di obbedienza deve essere sempre più capace di dare le ragioni di quel che si chiede. E – sempre – la chiave è la credibilità, ovvero il fatto che un genitore sia seriamente impegnato lui con quel che chiede. Che non vuol dire “coerente” nel senso moralistico del termine: tutti sbagliamo, inevitabilmente; vuol dire che un giovane deve vedere che, con tutti i miei limiti e i miei errori, sono seriamente impegnato io con quel che propongo a lui.

In molte famiglie la figura del padre è inesistente. Come immagina il ritorno del padre nell’epoca dell’evaporazione, da che cosa si riconosce l’importanza della sua presenza e quali strategie può mettere in atto una comunità affinché questo ritorno avvenga anche dentro una società liquida e globalizzata per non lasciare da soli i genitori nel misterioso compito educativo?
La risposta è già nella domanda: non lasciare i genitori da soli. Ma per questo non ci sono “strategie”: c’è solo una compagnia da offrire, pazientemente, secondo le occasioni e le circostanze che la vita offre (a scuola, sul lavoro, tra vicini di casa…). E perciò non “immagino” niente: faccio quel che posso per offrire questa compagnia dove si riesce, e il resto è affare del Padreterno.

Di tutti i personaggi che ha studiato e che insegna (da Enea a Telemaco, da Virgilio a Geppetto, dal mito alla favola fino alla realtà) chi interpreta meglio la relazione padre – figli giovani nella realtà attuale così complessa?
Certamente Geppetto e Virgilio sono entrambe figure straordinarie. Più essenziale Geppetto, che rimane in un certo senso sullo sfondo, ma incarna in modo esemplare entrambi gli aspetti della figura paterna: “sta”, rimane saldo, in attesa che il figlio ritorni, come il padre della parabola del figlio prodigo; e a un certo punto però “va”, si mette in cerca di Pinocchio, fino a rischiare la pelle per lui, esattamente come fa Dio incarnandosi. Molto più dettagliato Virgilio, che accompagnando Dante passo passo ha modo di richiamarlo, correggerlo, sorreggerlo mille volte. Anzi, quando avrò finito il commento alla Divina commedia che adesso sto scrivendo per Mondadori – l’Inferno sarà in libreria a metà ottobre – potrei proprio scrivere un trattato di pedagogia, un manuale di sano metodo educativo, elencando e commentando gli interventi di Virgilio con Dante.

Ritiene possibile oggi un legame tra Verità e Testimonianza, tra Legge e Desiderio dentro un principio di “non contraddizione” ovvero di “non utilitarismo” per rendere le figure paterne più credibili e da proporre come modelli ai giovani?
Certo. Perché la legge, se la si intende nella sua natura profonda, non è mai in contraddizione col desiderio. La legge, la vera legge, è sempre legge del desiderio, il suggerimento della forma perché il desiderio possa compiersi nella sua interezza e non in modo riduttivo. Certo, oggi questa consapevolezza è pressoché perduta, viviamo immersi in una cultura che contrappone un desiderio inteso in maniera ridotta, istintiva (la “dittatura del desiderio”) a una legge concepita come imposizione esterna, estranea. Il compito in questo senso è aiutarci fra adulti a riscoprire la natura autentica dell’uno e dell’altra.

Lei ha incontrato molti padri insegnando a scuola. Quali sono le virtù che più ha apprezzato e che aiutano i figli a diventare uomini anche migliori dei padri stessi?
La certezza e la pazienza. La certezza, verificata nell’esperienza, della bontà del proprio cammino; e la certezza nella bontà del cuore dei figli, la fiducia che il loro cuore è buono perché è fatto da Dio, perciò è fatto bene, c’è in loro un fondo buono indistruttibile. E, di conseguenza, la pazienza, che poi è la certezza che prima o poi questo fondo buono vincerà, anche se i tempi e i modi non li decidiamo noi. Padri così, grazie a Dio, ne ho visti tanti; e da loro ho sempre imparato molto.

Autonomia e indipendenza sono valori molto sponsorizzati nella cura dei figli oggi, grazie al potere del ruolo femminile e delle trasformazioni avvenute attraverso il divorzio, la diffusione della contraccezione, dell’aborto e il modo di intendere la realizzazione personale. Che tipo di autonomia e indipendenza (se così si possono chiamare) sono quelle di Gesù (figura reale) nella sacra famiglia o di Pinocchio (figura letteraria) nelle sue avventure con Geppetto e la fata?
Autonomia e indipendenza sono, semplicemente, menzogne. Nessuno è “autonomo” né “indipendente”: tutti, inevitabilmente, dipendiamo, cioè nasciamo e cresciamo solo dentro una trama di rapporti che non facciamo noi. Non ci diamo da noi la vita, il cibo, l’aria che respiriamo, la lingua che parliamo… La libertà – questo sì valore vero, assoluto, di cui autonomia e indipendenza sono le caricature diaboliche, come il diavolo è la caricatura di Dio – è la capacità di assumere questi rapporti in maniera personale, di scegliere liberamente a quali rapporti aderire, di saper essere fedele a questi rapporti e non andar dietro a tutte le sirene del mondo. In questo senso Pinocchio è un esempio meraviglioso: tutte le volte che crede di essere “autonomo”, cioè di andar dietro al proprio istinto, si perde (finisce nella padella di Mangiafuoco, diventa un asino nel Paese dei balocchi…). Quando invece è libero, cioè fedele ai rapporti che lo costituiscono – appunto, Geppetto e la Fata -, conquista se stesso, si compie, diventa quel che è veramente.

Perché Gesù e Pinocchio sono figli unici e perché i loro padri sono “putativi”, un po’ come dire “adottivi” … e cosa si intende e come si vive invece in una famiglia numerosa?
Beh, direi che Gesù è “unico” in tutti sensi, e ha per fratelli tutti noi. Pinocchio non so, bisognerebbe chiederlo a Collodi, forse il racconto era già bello impegnativo così… Decisiva invece è la questione del padre putativo: perché – come dico sempre – tutti siamo padri putativi. Nel senso che non siamo i padroni dei nostri figli: ci sono stati affidati dal loro Padre vero perché li accompagniamo nel loro percorso per tornare da Lui. Quanto alla famiglia numerosa, dovrei scrivere un romanzo (e in effetti un libro che racconta la storia della nostra famiglia c’è). Qui posso solo dire che il fatto di essere cresciuto con altri nove tra fratelli e sorelle mi ha dato un’allegria, un’educazione alla fatica e alla condivisione, un’abitudine connaturata all’apertura agli altri, di cui non potrò mai essere abbastanza grato.

La rete è la “terza famiglia” (dopo quella naturale e sociale) per i giovani. Di che natura e come è vissuto oggi il conflitto, se c’è, tra padri e giovani su questi tre livelli?
È un conflitto epocale, perché nella storia dell’umanità è una novità assoluta, e perciò nessuno sa come affrontarlo, dobbiamo scoprirlo sulla nostra pelle. In estrema sintesi, mi par di vedere questo: quand’ero piccolo io, famigliare e sociale collaboravano (se una vicina di casa mi vedeva fare una marachella mi tirava un ceffone come se fossi stato suo figlio, e mi guardavo bene dal dirlo a casa, perché ne avrei preso un altro), respiravamo dentro e fuori la stessa aria. Poi, dal Sessantotto in avanti, il sociale si è messo contro il famigliare, ha fatto di tutto per strappare i figli ai padri; però, in un certo senso, combattevano ad armi pari, cioè gli strumenti che usavano erano pressappoco gli stessi. Certo, dalla parte del sociale c’era la televisione – quella che Pasolini proponeva di abolire… -, però in fondo quel che contava era ancora il rapporto personale. Oggi invece, con la rete, il sociale entra nella vita dei figli da tutti i pori, e si pone come forma del rapporto: il rischio grave è che per  i nostri ragazzi i rapporti “veri” siano quelli virtuali e non quelli carnali. Ma anche i giovani d’oggi – torno all’osservazione di prima – hanno un cuore buono, un cuore fatto da Dio che è capace di riconoscere i segni del vero, del bene, del bello quando lo incontrano. Certo, è un cuore un po’ atrofizzato, meno allenato a mettersi in moto, occorre più energia per sollecitarlo. Ma è una sfida interessantissima, perché ci costringe ad andare sempre più a fondo di quello che proponiamo.

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