11 maggio a Bergamo:
un pugno di giovani
per una Pace che libera

Siamo tutti invitati. Chiara & Chiara hanno circa 20/25 anni e fanno parte del gruppo Sermig di Bonate Sopra. Raccontano ai nostri ragazzi e giovani di Seriate, che riempiono l’aula 11 dell’Oratorio, l’iniziativa che sarà fatta a Bergamo l’11 maggio: il 6° appuntamento Giovani della Pace.

È solo un’ora di un sabato sera tranquillo di fine marzo, un tassello su mille, perché Chiara & Chiara con altri amici del Sermig di Bonate Sp. stanno lavorando ininterrottamente e gratuitamente al grande evento dell’11 maggio da settembre dello scorso anno. L’invito, aperto a tutti, potrebbe cambiarci la vita e viene presentato con un laboratorio interattivo: video di apertura; post-it dove scrivere le ingiustizie vissute (Nessuno mi vuole; mi giudicano tutti per il mio aspetto e per le cose che faccio; i professori favoriscono chi sta più simpatico; una persona che conosco è presa in giro per cose che non può cambiare; l’atteggiamento dei miei compagni non mi permette di essere me stessa; devo studiare storia anche se faccio il tecnico; i miei genitori mi puniscono troppo e non mi capiscono …) e infine il lavoro di gruppo per pensare a un punto di pace comune per migliorare il mondo (raccogliere i rifiuti; pulire le città; sportelli di ascolto; accogliere persone in difficoltà … ). Ecco quello che si può fare.

Ed ecco anche quello che, tanti anni fa, si era chiesto un signore di nome Ernesto, dopo aver letto la notizia che ogni giorno 100mila persone morivano di fame: ≪ma io cosa sto facendo perché ciò non accada?≫. Era il 24 maggio 1964 quando Ernesto Olivero, insieme a sua moglie e alcuni amici, decise di fondare il Sermig (Servizio missionario giovani). In gruppo attuarono della iniziative come la raccolta fondi, alimentari e vestiti per spedirli nelle varie missioni del mondo. Poi, un giorno del 1983, il comune di Torino dà a questi ragazzi un vecchio arsenale militare che loro riconvertono in Arsenale della Pace. Un’avventura che ci porta ai nostri giorni: a Bergamo … 11 maggio 2019. E con un programma che trovate su questo link: www.giovanipace.org

Chiara & Chiara: ≪Abbiamo chiesto all’Arsenale, alle istituzioni della città […]. Stiamo incontrando molti giovani nelle scuole e negli oratori per invitarli≫. Ci credono e sul palco di Bergamo, l’11 maggio saliranno i giovani con testimonianze e un tema ben preciso :”Basta guerre, facciamo la pace”.

Al termine dell’incontro, Chiara Vitali concede un’intervista alla Voce di Seriate.

Come nasce il gruppo di Bonate Sopra?
Il gruppo di Bonate nasce nel 2006. Tredici anni fa i primi del nostro gruppo sono stati in un “campo” estivo del Sermig nazionale appassionandosi all’accoglienza di bambini e malati. Una volta a casa, hanno poi deciso di redistribuire un po’ di questo spirito sul nostro territorio. Adesso siamo una ventina con età compresa tra i 18 e 30 anni e facciamo attività sul territorio, nelle scuole, laboratori come quelli che hai visto, un nostro modo per creare relazioni con i giovani e passare contenuti. Tra le varie attività ci sono quelle di formazione su temi specifici; quelle pratiche, come l’orto; un centro dove la gente ci porta farmaci che, con i ragazzi che ci aiutano, ogni sabato smistiamo e inscatoliamo per distribuirli dall’Arsenale in varie parti del mondo. Da quando esiste questo gruppo, ogni mese coltiviamo le relazioni con l’Arsenale: andiamo lì per incontrare persone che vivono dentro l’Arsenale e che sono per noi un riferimento. C’è questa relazione molto bella.
Quest’anno, in particolare, siamo tutti impegnati per il 6°appuntamento dei giovani della Pace a Bergamo l’11 maggio. Tali appuntamenti che il Sermig organizza ogni due o tre anni in diverse città d’Italia nascono con l’idea di radunare in una piazza i giovani. Non i giovani del Sermig – perché il Sermig non è un movimento ma una casa -, ma tutti i giovani per mostrare che tutti i giovani hanno tanta bellezza, molto di positivo e la grande capacità di impegnarsi. Quindi non è una giornata di protesta, ma andiamo in piazza per ricevere dei contenuti e per impegnarci in prima persona. Questo è lo spirito che ci sta dietro.

Trovo interessante il metodo dei vostri laboratori.
Abbiamo delle scalette fisse: presentazione dell’Arsenale, poi della nostra esperienza e infine cerchiamo di interagire con i ragazzi: le ingiustizie che vivono loro, perché se è facile vedere le ingiustizie dall’altra parte lo è di meno vedere quelle che ci cono anche qua. Allora la domanda:≪ma io cosa posso fare per chi muore in Africa?≫. Magari non puoi fare niente, ma puoi fare qualche cosa per tutte le ingiustizie che ci sono intorno a te. Quindi ci piace far ragionare i ragazzi sulle cose negative nel proprio contesto e poi interrogarsi su cosa fare per cambiarle a partire dal proprio piccolo senza pensare di fare chissà quali progetti di sviluppo. Aiutare chi ci sta intorno è già qualcosa. Ci sono anche laboratori specifici per alcuni temi, ma quello che abbiamo visto è l’incontro base.

Quanto lavoro per organizzare l’incontro dell’11 maggio?
C’è stato un lavoro preliminare a Torino (dove all’interno dell’Arsenale della Pace vive una fraternità di consacrate e consacrati), che ha preparato i contenuti, cioè la scelta sul tema della guerra. Quindi, da settembre, una persona della fraternità di Torino si è stabilita a Bergamo per iniziare con noi il lavoro sul territorio. Da settembre ci stiamo impegnando con incontri come quello di stasera, partendo da tutta la parte organizzativa (segreteria, contatti con i giornali, logistica, istituzioni, come interagire con il Comune e la Provincia). E lo stiamo facendo come giovani, ognuno con le proprie disponibilità. Io faccio questo tutti i giorni a tempo pieno, volontariamente e senza orari. Lo facciamo perché ci crediamo tanto. Io sono molto felice. Non so dirti quante ore, ma da settembre, a tempo pieno.

La famiglia cosa dice?
Io sono fortunata perché se ho questa spinta l’ho presa un po’ anche da loro e mi appoggiano. Non potrò fare il volontariato per tutta la vita però mi è molto utile e sto imparando tanto anche dal punto di vista professionale. Penso che sia una esperienza che mi fa crescere molto e quindi mi è utile.

Parlaci della fraternità
Sono circa 80, di cui una parte sono consacrati e consacrate e l’altra parte è composta da famiglie. È un comunità, si chiama Fraternità della Speranza e vivono all’interno dell’Arsenale. Attorno a loro si alternano circa 1000 volontari all’anno perché, tutto quello che avviene qui, avviene gratuitamente.

 Il Sermig ha una lunga storia che inizia nel 1964 ed è ancora attiva: um sito web articolato in molteplici attività e un canale YouTube, Arsenale della Pace, con più di 3000 iscritti e ospiti di spessore. La vostra missione è chiara, ma questi tempi non lo sono e si sta scivolando in un buio disumanesimo. Non viene la tentazione di gettare la spugna di fronte al male?
Per me, anche di fronte allo scoraggiamento – e lo stiamo provando tanto in questo periodo, perché organizzare un evento così non è facile, soprattutto se si è giovani -, anche ci sono tante cose brutte che succedono e il male sembra davvero vincere in un’epoca complessa, mi rincuorano le parole di Ernesto Olivero (fondatore dell’Arsenale della Pace) quando dice che viviamo in un tempo quasi senza speranza ma è il nostro tempo e quindi è compito di ognuno di noi far sì che da se stessi possa partire qualcosa. Ci viene da buttare la spugna, però bisogna andare avanti.

Chi fa esperienza nel Sermig si pone come obiettivo quello di vivere il Vangelo ed essere segno di speranza. Siamo molto lontani dagli obiettivi annebbiati dal libero arbitrio dei giovani. Eppure, qualcuno di loro si avvicina ai vostri laboratori. Che cosa li colpisce?
L’ho sperimentato sulla mia pelle. Quando sono andata all’Arsenale per la prima volta ho visto persone che mettevano in pratica il Vangelo davvero: scelta di povertà, gratuità e servizio per gli altri. Per me questa era una cosa assolutamente nuova. Il Vangelo l’avevo sempre visto come un libro. La seconda cosa che colpisce sempre tutti è che sono persone molto felici, cioè ho incontrato persone felici di far felici gli altri. Ciò che colpisce i giovani è proprio quando ti accorgi che mettendoti in gioco per gli altri scopri che alla fine sei tu che sei felice. Questo sconvolge perché appartiene ad una logica diversa da quella a cui siamo abituati. Personalmente questo fatto mi ha conquistato. Infine, tanti altri giovani vengono, secondo me, colpiti dal fatto che l’Arsenale è uno spazio molto bello, dove accadono tante cose ed è come macchina “industriale” che funziona molto bene.
Qui ognuno viene colpito da cose diverse, però c’è anche chi non viene colpito da niente e se ne va, ma sono tanti i giovani che si avvicinano e fanno esperienza. In estate l’Arsenale organizza campi di volontariato per i giovani e io sono andata in uno di questi campi portata da una mia amic.

Oggi da cosa vorresti liberare l’uomo?
Dalla paura di incontrare l’altro. Quando incontri una persona che non è più un numero, un etichettato, ma quando conosci la sua storia, allora cambi. Quando si cammina per strada e ci si guarda negli occhi senza paura aiuta ad abbattere tanti muri. Anche liberarsi dall’egoismo ma non perché essere egoisti è sbagliato, ma perché aprirsi e donare viene a tuo vantaggio. I volti e gli occhi parlano.

32.000 presenze ai corsi di formazione per i giovani, centinaia di ore di volontariato che hanno il valore di migliaia di euro. Numeri imponenti che impongono anche una visione di civiltà e società. Quale?
L’Arsenale della Pace ha un costo, ovviamente. Dopo Torino sono stati aperti Arsenali in Giordania, in Brasile … Questo costo viene “pagato” da volontari che gratuitamente si pagano le spese. L’Arsenale è veramente una macchina gratuita e ciò si chiama “restituzione”. Partendo dalla consapevolezza che nessuno di noi ha scelto dove nascere è giusto che ognuno restituisca agli altri un po’ di quello che ha in forma di tempo, soldi e professionalità. Non so dire se questo sia un modello di civiltà ma, a prescindere dal credo o dallo schieramento politico è un fatto oggettivo.

Anche la vostra bandiera della Pace ha una storia. Ce la racconti?
L’Arsenale ha una gran quantità di contenuti. Quello della bandiera rappresenta la Pace su tutte le bandiere del mondo e simboleggia la fratellanza fra i popoli, dove la parola Pace è sempre scritta in italiano. Anche in Brasile e in Giordania questo termine non viene tradotto perché il primo arsenale militare trasformato in Arsenale per la Pace è stato quello in Italia.

Di tutte le attività incuriosisce il laboratorio del suono. Non è che avete contatti con il programma tv “Amici”?
Il punto è che l’Arsenale della Pace è come se fosse una piccola città, dove ci sono tante cose che coesistono. L’Arsenale è veramente la casa per i poveri ma è anche una casa per tutti. Quindi, una mamma con un figlio che vuole imparare a suonare il violino, invece di portarlo alla scuola privata lo porta presso il laboratorio del suono. Questo vale per altri laboratori, come quello del restauro. In questo modo i ragazzi non solo imparano ma respirano una certa aria. Nello specifico, il laboratorio del suono è un’attività che nasce da persone della fraternità del Sermig che hanno questa dote di suonare e cantare. Qui c’è uno studio di registrazione dove si producono canzoni (si trovano anche su youtube). Questo è un altro modo per raggiungere i giovani. Le canzoni poi raccontano anche storie di chi è passato per il Sermig e sull’Arsenale della Pace. Una cosa che a me  piace molto è che a volte si pensa che il volontariato, fare del bene, sia solo dare il pasto, ma ci sono altri modi per mettersi al servizio, molto innovativi e dinamici. La musica è una di questi: è un restituire e mettersi al servizio. Questo è il valore dell’Arsenale.

Quindi l’Arsenale della Pace non è spettacolo, ma è vita.
Assolutamente. Ed è quello che succederà in piazza l’11 maggio. Ci saranno canzoni, ma saranno finalizzate a trasmettere dei contenuti. Lo spettacolo non sarà fine a se stesso. Succederà, ed è successo all’ultimo incontro di Padova, di chiedere il silenzio per un minuto e 40mila giovani sono stati in silenzio. Tutto è al servizio di un’idea più grande, prendere consapevolezza e impegnarsi.

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