Non ucciderai…
neppure per gioco!

Stavamo celebrando l’Eucarestia, domenica scorsa 11 gennaio. Un lettore proclama le parole di Isaia.

«Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia? 
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. 
Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete». (Is 55, 2)

E ritornano alla mente parole dello stesso autore, ascoltate non molto tempo fa, nei giorni che ci preparavano al Natale:

«Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione,
non impareranno più l'arte della guerra». (Is 2, 4)

Sono profezie di altri tempi ma innegabilmente e indiscutibilmente attuali. Questo della Sacra Scrittura può affascinarci ancora: questa sua capacità di interpellare e interpretare l’uomo di ogni tempo e in ogni stagione. Per questo la chiamiamo volentieri Parola di Dio, anche se sappiamo bene che sono stati uomini come noi a scriverla e a tramandarcela. Crediamo venga dall’alto. Per poterle pronunciare e metterle per iscritto serviva un po’ di conoscenza del cuore dell’uomo (conoscenza che si può avere solo mettendosi in cammino verso se stessi!) e un pizzico di coraggio per alzare non tanto la voce quanto il livello del discorso, facendo intravedere al di là del rimprovero, il tempo della pace, il tempo della vita piena.

Un carissimo amico prete diceva che quando avremo capito fino in fondo la Sacra Scrittura, noi cristiani potremmo chiudere il Libro una volta per sempre e andarcene in giro e leggerla non più su fogli di carta, ma sui volti e nei gesti degli uomini che da questa Parola hanno saputo trarre la loro Vita. È questo che intendeva fare Gesù di Nazareth? Forse è questo che è venuto a chiederci di provare a fare? Come dice bene Giovanni in apertura del suo Vangelo: «Dio nessuno l’ha mai visto», il Figlio suo ce lo ha spiegato, ce ne ha fatto l’esegesi. Gesù è stato un commento vivente al volto di quel Dio che ancora ci pare invisibile.

È così che nasce – ispirazione di un momento – l’iniziativa che ha già fatto un po’ di strada anche sul web. Un notiziario locale ne ha parlato dopo che qualcuno ha segnalato l’iniziativa salutandola felicemente. Devo dirlo subito: non si pensava che la notizia finisse in rete, magari in balia di commenti di ogni genere.

L’iniziativa voleva semplicemente restare qualcosa di minimo e ben radicato in un contesto preciso: una celebrazione eucaristica vivissima, nella Comunità che tenta ogni giorno di nutrire la vita e la fede a partire da una Parola da ascoltare e da un po’ di Pane da ricevere come un dono condiviso.

La proposta è tanto semplice quanto impegnativa: si propone ai bambini – nella più assoluta libertà – di «buttar via» le armi giocattolo o addirittura quei videogiochi di guerra che rasentano un verismo incredibile – certamente frutto delle indiscutibili abilità artistico-tecnologiche dei creatori.

Lontano l’idea di lanciare una qualsiasi specie di accusa ai bambini, men che meno ai loro genitori o ai nonni o a chiunque abbia potuto regalare loro un’arma giocattolo. Nessuno  metterà in discussione il fatto che i bambini non siano affatto responsabili della violenza che ancora si sta manifestando attorno a noi. Ancor meno si affermerà con questa iniziativa che giocare con armi-giocattolo sia l’anticamera per essere, domani, dei potenziali assassini.

Fino a prova contraria, siamo noi – gli adulti – a disegnare, realizzare e marchiare con un «label» di idoneità videogiochi e giocattoli da immettere sul mercato. Siamo sempre noi quelli che li comprano o li regalano, cedendo spesso alle pressioni di un cucciolo d’uomo. Se ai piccoli «vien voglia di giocare alla guerra» – se vale il principio di imitazione – è probabilmente perché dai grandi lo hanno visto fare.

L’iniziativa ha qualcosa di «profetico», qualcosa che neppure ci si immaginava potesse accadere: ciò che i bambini possono insegnare ai noi adulti è già avvenuto domenica pomeriggio in un silenzioso susseguirsi di bambini accompagnati in chiesa dai genitori. Ciò che i piccoli ci insegnano è l’urgenza del cambiamento. Non ci hanno pensato due volte, non hanno anteposto alla scelta né dei «se» né dei «ma».

I bambini non sono colpevoli della violenza che imperversa. Certamente sono le prime vittime. Tuttavia – senza fare della psicologia – violenza o istinto di vendetta segnano fin dalle origini il cuore dell’uomo e pure del cucciolo d’uomo. Nella Bibbia, tra le «cose da Génesi» (cioè tra i racconti fondatori, tra i discorsi delle origini) ci sono storie che raccontano dell’uomo che accusa il suo simile per una disobbedienza (Adamo ed Eva); storie come quelle di un giovane che uccide il fratello (Caino e Abele); storie di fratelli che, per non riconoscere la propria gelosia, arrivano a vendere un fratello facendo credere al padre – con la menzogna – che il figlio sarebbe morto perché ucciso da una bestia (la storia di Giuseppe e i suoi fratelli). Potremmo certamente continuare l’elenco per dire che quegli uomini siamo noi tutti – nessuno escluso. Quelle storie ci raccontano ma ci narrano anche di soluzioni felici: di cammini di riconciliazione e perdono soprattutto.

Si tratta quindi di apprendere la difficilissima arte di educare quegli istinti che ci abitano, da piccoli o da grandi; istinti che non avremo mai addomesticato a sufficienza; istinti che urlano comunque ogni volta che, per qualche fatto o motivo, si risvegliano. Chi di noi può dire di averli dominati una volta per tutte? Chi di noi può affermare di non avere avuto a che fare fin dalla tenera età con questi sentimenti o istinti?

Ai più piccoli non buttiamo addosso le responsabilità dei grandi, no di certo! Certo non potremo neppure fermare la produzione di giochi o videogiochi violenti (figuriamoci se possiamo far chiudere l’industria della guerra!), ma scegliere se comprarne ancora oppure no, questo sì.

Davanti al gesto coraggioso di un bambino che depone anche solo un’arma giocattolo vorremo sentirci richiamare alle nostre responsabilità di adulti. Un bambino non può di certo trasformare un’arma in pane… un adulto sì!

Proveremo così a rifondere per ogni giocattolo che è stato buttato nel bidone presente in chiesa, una somma simbolica di 10€. La somma non verrà rimborsata al bambino o ai suoi famigliari. La somma corrispondente alle armi giocattolo verrà messa in un «tesoro comune» che verrà poi trasformato in donazioni di tipo caritativo e umanitario. Intanto alcuni adulti della Comunità e alcuni commercianti della nostra Città hanno pensato di offrire un dono «più pacifico» a quei coraggiosi cuccioli d’Uomo che ci insegnano a guardare al futuro con la stessa speranza racchiusa in quel comandamento che letteralmente andrebbe tradotto al futuro: «Non ucciderai».

Da grande, non ucciderai!

Ora che sei ancora piccolo, prova a non farlo neppure per gioco!

Questo articolo è stato pubblicato in CULTURA, PASTORALE da Don Stefano Manfredi . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

3 pensieri su “Non ucciderai…
neppure per gioco!

  1. ciao don sono elisa e ho 10 anni sono contenta di questa idea perche in televisione si vede solo brutte e io non riesco a guardarle mi fanno stare tanto male io non avevo nessuna arma perche io non le volglio allora io e la mamma abbiamo pensato a un a cosa simbolica e ti abbiamo lasciato un foglio allinterno cosi per dire a gesù  che non solo i maschi devono lasciare le armi ma anche le femmine.. ciao un bacio elisa b.

  2. Credo sia un'iniziativa lodevolissima, da condividere pienamente, altamente educativa per i ragazzi ma ancor più per i grandi in questo caso educati dai piccoli che con slancio e generosità hanno rinunciato ai loro giocattli.

    Grazie don Stefano

     

  3. Finalmente un'iniziativa concreta. Dopo il video che ho visto ieri sera dove un ragazzino di 10 anni ha ucciso due prigionieri russi, la cosa trova il mio completo appoggio e sostegno. Ottimo "colpo" don.

    Franci

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